Cos'è l'angolo alfa?
Immagina questo scenario: stai sciando su un terreno a bassa angolazione, ma devi attraversare sotto una parete ripida e aperta senza riparo. Il tuo campanello di allerta valanga inizia a suonare, “Pericolo!”, quindi decidi di sciare rimanendo lontano dal possibile percorso della valanga. Ma non ci sono alberi in giro che possano darti indizi su dove sarai al sicuro se parte. Quindi, quanto è “abbastanza lontano” dal pendio sospetto? Il concetto di “angolo alfa” o “angolo di runout” può aiutarti a rispondere a questa domanda.
Nell’illustrazione sopra, è facile vedere che sei molto più al sicuro nella posizione “A” che nella posizione “C” se il pendio dovesse scivolare. Ma come fai a sapere dove ti trovi in relazione all’angolo alfa?
Angolo alfa vs. angolo di pendenza
Prima di entrare nei dettagli dell’applicazione dell’angolo alfa, vale la pena sottolineare la distinzione tra angolo alfa e angolo di pendenza. Entrambi possono essere importanti per aiutare a prendere decisioni informate in terreni di valanghe, ma ci dicono cose molto diverse. L’angolo di pendenza, l’inclinazione della superficie della neve, può aiutarti a rispondere alla domanda “Questo pendio potrebbe scivolare?” L’angolo alfa può aiutarti a rispondere “Sono abbastanza lontano da quel pendio per essere al sicuro se scivola?”.
Possiamo misurare sia l’angolo alfa che l’angolo di pendenza utilizzando lo stesso tipo di strumento: un inclinometro.
Cos’è un inclinometro?
Un inclinometro (noto anche come clinometro o misuratore di pendenza) è un dispositivo per misurare gli angoli rispetto a un piano orizzontale. Nello sci di fondo, gli inclinometri sono comunemente usati per misurare l’angolo di pendenza. Esistono molti modi diversi per misurare l’angolo di pendenza con un inclinometro, ma rientrano principalmente in una delle tre categorie:
Misurazione del contatto: appoggiare l’inclinometro direttamente sulla superficie della neve o su un bastone da sci sulla superficie della neve.
Misurazione del profilo: osservare il profilo di una pendenza quando la si guarda di lato, spesso da una certa distanza per valutare l’angolo di pendenza.
Misurazione della linea di vista: guardare verso l’alto o verso il basso di una pendenza in modo che la linea di vista corrisponda alla superficie della pendenza. È qui che entra in gioco l’angolo alfa.
Alcuni modelli di inclinometro consentono misurazioni tramite tutte e tre queste modalità di utilizzo comuni. Altri ne supportano solo una o due. Ognuna delle tre ha le sue applicazioni nelle misurazioni dell’angolo di pendenza per lo sci di fondo.
Inclinometri per angolo alfa
Le valutazioni dell’angolo alfa richiedono la modalità di misurazione della linea di vista. Ma non stai più misurando l’angolo di superficie; stai mirando l’angolo di una linea immaginaria tra te e un “bersaglio” distante (la corona della valanga o la cima del pendio sospetto). Non puoi farlo con la maggior parte delle app per telefono inclinometro o con le schede inclinometro tascabili, che funzionano solo per le modalità di misurazione del contatto e del profilo. E ci sono alcuni dispositivi disponibili che funzionano bene per le valutazioni dell’angolo alfa e altre misurazioni della linea di vista. Un’opzione è il clinometro Suunto PM-5, ma ci sono anche molte bussole dotate di specchio con una funzione di clinometro integrata, come la serie Silva Ranger o Suunto MC-2.
Conclusione: ovviamente, l’angolo alfa non ti dirà tutto ciò che devi sapere per restare al sicuro in montagna, ma è sicuramente uno strumento utile da aggiungere alla tua faretra quando ti avventuri in terreni a rischio valanghe. Applicare la regola dei 18 gradi potrebbe fare la differenza tra una giornata di divertimento in montagna e una situazione di seppellimento multiplo.
Nell’ottimo libro di Tremper, di cui abbiamo già parlato qui, c’è un paragrafo piuttosto esaustivo sull’angolo alfa.
Un estratto dalla versione inglese del libro si trova qui.
Trascrizione dell'episodio
00:00 – Fabio (Host)
Benvenuti a questo nuovo episodio della Dinamica. L’ospite di questa sera è Lorenzo, a cui adesso lascerò subito la parola, come al solito, per una presentazione sua e poi racconto un po’ dell’episodio. Approfitto di nuovo per ringraziarlo per la disponibilità e soprattutto per avermi contattato, perché ormai credo che la gente sia stufa anche di sentirmelo dire. però questo podcast va avanti solo se persone come Lorenzo spontaneamente mi chiamano, mi contattano per dire guarda che io ho un episodio da raccontare e se vuoi ne parliamo. Quindi, grazie ancora, lorenzo, e come solito ti lascio la parola per presentarti ai nostri ascoltatori ascoltatori.
00:56 – Lorenzo (Guest)
Bene, ciao, fabio, e buonasera a tutti. Io sono Lorenzo Taddei, ho 60 anni, compiuti da poco, e da circa 40 anni pratico a 360 gradi la montagna. Ho iniziato all’inizio con ferrate, poi ho iniziato a rampicare e a circa 24 anni è esplosa la mia passione più grande, che è lo sci alpinismo. In zone Trentino-Alto Adige sono istruttore in una scuola del CAI, inizialmente come istruttore regionale, ora da ventina d’anni sono istruttore nazionale Di lavoro. Faccio anche l’avvocato e quindi per molti versi mi occupo anche delle problematiche che riguardano, se vogliamo, la responsabilità nell’accompagnamento e, nella specie, nelle attività. Diciamo che pratico quindi l’alpinismo in genere.
01:52 – Fabio (Host)
Ok, perfetto, quindi anche questo, tra l’altro, è un argomento interessante. Magari dopo ne parliamo fuori onda e potrebbe essere interessante approfondire proprio quell’aspetto che hai appena citato, adesso più le responsabilità legali nell’accompagnamento, perché sappiamo che riguardano, sì, ovviamente per in primis noi istruttori del CAI, ma in un certo modo questa cosa poi ricade anche su chi si professa tra virgolette, tra molte virgolette esperto e accompagna qualcuno che invece non lo è. Ma insomma, questo è un argomento magari per un altro episodio, però chissà, magari ne possiamo approfondire separatamente. Sì, certo, quindi vedo che condividiamo la passione per lo sci, per lo sci alpinismo. Quindi ti chiederai di entrare un po nel vivo dell’argomento, dell’episodio, ovvero l’incidente. Quindi ti chiederai di raccontarci un po’ cosa è successo quando è stato, intanto, cosa è successo, e poi magari insieme faremo, come al solito, un’analisi un po’ delle cose che sono andate storte, diciamo, e che hanno portato a questo incidente.
02:55 – Lorenzo (Guest)
Allora, questo è un incidente che è accaduto nel marzo del 2000, quindi ormai molti anni fa. È un incidente che è accaduto nella pratica dello scelpinismo Anzi. Ringrazio Fabio di darmi questa opportunità di poterlo condividere perché, diciamo, questo è stato un fatto che mi ha molto segnato sotto vari profili. Poi, riascoltando in questi ultimi mesi il podcast di Fabio che ritengo di un interesse, di una utilità estrema anche per il taglio che lui dà a questo tipo di problematiche, sfuggendo a facili cliché accusatori oppure esaltatori delle mitiche virtù degli alpinisti mi è venuta l’idea di provare a condividerlo su scale un po’ più ampie e quindi ho contattato Fabio, il quale mi ha dato questa opportunità e cose di cui lo ringrazio. Allora, questo fatto si è verificato nel marzo di ormai 24 anni fa, all’interno di una dinamica che vedeva coinvolti vari soggetti. Io, come ho detto, sono istruttore da molti anni di scierpinismo e, come succede normalmente in molti casi, gli istruttori della scuola non solo fanno attività didattica e istituzionale ma poi, giustamente, sono anche amici, almeno nel nostro caso.
04:21
Nella nostra scuola è così che fanno gite assieme una volta finiti i corsi, gite a cui partecipano in parte istruttori ma in parte anche altri componenti appassionati con vari livelli di esperienza. In quell’occasione ricordo che eravamo 17 partecipanti. La compagnia era composta in parte da ist, un numero più esiguo invece erano delle persone che avevano frequentato il corso base e che così da appassionati, si erano affiancati all’attività di questi amici per poter fare una gita. Diciamo che l’ipotesi parte nel voler fare una gita. Adesso non ricordo quale fosse la cima, comunque era una gita in prossimità del Brennero, sul versante italiano. Quindi si erano visionati i bollettini che, se non sbaglio, davano un pericolo variabile da 2 a 3, l’esposizione doveva essere un’esposizione sui quadranti meridionali. esposizione sui quadranti meridionali. Il tempo lasciava un po’ dei dubbi, nel senso che dava delle perturbazioni a confine, che però non si riusciva a capire se sarebbero esplicate nella loro forza sul versante sud piuttosto che al nord delle Alpi.
06:00
Va detto che all’epoca la possibilità di accedere alle informazioni era molto diversa da oggi. L’internet era appena comparsa. Non credo che i bollettini ci venissero inviati. C’era una specie di sistema di self fax che veniva inviato da lei in Eva. Quindi era una situazione un po’ diversa da adesso. Però noi avevamo preso tutte le informazioni e si era deciso di fare quella Salendo. In realtà ci siamo resi conto noi venivamo da Verona che man mano che salivamo verso il Brennero il tempo era brutto, veramente bruttissimo sul versante sud delle Alpi.
06:41
Sul versante sud delle Alpi, quindi decidemmo non so se ci fermammo forse per fare un consulto il tempo era molto brutto, c’erano temperature abbastanza elevate, nevischiava decidemmo di passare il confine per andare a vedere che situazione avremmo trovato E quindi passammo il Brennero, dove in effetti il tempo era diverso, cioè era sì coperto con un velo di umidità che si percepiva nell’aria, però non c’erano precipitazioni. E quindi decidemmo, card alla mano, di fare una cima di cui nulla sapevamo, se non avevamo individuato che poteva avere dei pendii di interesse per la nostra salita. E quindi la decisione fu presa da tutti, chiaramente da tutti i più esperti, perché chi era lì e era, diciamo così, al traino, veniva fidandosi completamente delle scelte che altri facevano per loro, che altri facevano per loro. Quindi partimmo per questa salita. La cima era, se non sbaglio, la Scheiber Spitz, una cima di quasi 2500 metri. La partenza era da Navis, in Navistal, che credo sia intorno ai 1300 metri di altezza, e era una cima di circa 1200 metri di dislivello.
08:02
I pendii che andavamo a interessare erano ovviamente pendii che avevano esposizioni diverse rispetto a quelle in relazione ai quali avevamo progettato la gita. Incominciamo a salire, il tempo sembrava tenere, c’era un’atmosfera assolutamente goliardica, nel senso che eravamo tutti amici. C’era un nucleo di persone più esperte, ma ci conoscevamo tutti. La salita si svolse in maniera molto goliardica e giocosa. Devo dire che già però all’inizio, man mano che si saliva, cominciavamo a percepire dei segnali che il manto nevoso era instabile, perché ricordo che passammo un tratto pianeggiante dove c’era un’enorme valanga di fondo, dove c’era anche un camoscio che evidentemente poverino, era stato travolto ed era morto, una valanga di dimensioni veramente notevoli che era arrivata fino in fondo alla valle.
09:00
A un certo punto, passato il pianoro, l’inclinazione si faceva sempre maggiore, fino a che ci troviamo proprio sotto l’ultimo strappo della cima che, se non ricordo male, era ulteriori 300 metri per arrivare in cima. Qui vediamo che i pendii erano effettivamente molto ripidi, perché poi, guardandoli, sulla carta sono pendii superiori ai 35 gradi. Man mano che salivamo, notammo che la coltre nevosa era spessa, c’era una neve soffice, ma evidentemente di cristalli che avevano coesione, in quanto la temperatura non era così bassa, c’era una forte umidità nell’aria e quindi, salendo per questo ultimo strappo, che si concretizza con un tratto molto ripido e poi la cima è una specie di tratto leggermente in piano con cui si conclude la salita, salendo il clima era sempre buono, però chi aveva un po’ di esperienza cominciava a capire che forse la condizione non era così sicura. Ciononostante, davanti c’erano le persone più esperte e tutti seguimmo a ruota. Avevamo l’accortezza di stare un po distanziati. Chi era davanti fece una traccia molto stretta, andando a interessare una zona, una sorta di dosso, su cui vi erano anche delle rocce, facendo dei, degli zig zag molto stretti e diciamo nell’arco di un’ora saliamo in cima. La percezione che però almeno io avevo salendo era che i pendi erano molto ripidi e la neve sotto gli sci cominciava a preoccuparmi, nel senso che si andava dentro fino a quasi a ginocchio.
10:59
Quando siamo saliti su, facemmo una specie di così di consulto e in realtà, diciamo, quelli più esperti avevano percepito che la situazione era di un certo tipo, non era così sicura come forse avrebbe dovuto essere. Tant’è che, ricordo, io feci una battuta con uno dei più esperti e quando decidiamo di scendere, mi misi la pala fra i denti, dicendo io scendo con il manico della pala fra i denti, se ricordo quelle vecchie pale che si usavano allora in legno e alluminio, una pala norvegese. E così cercai di drammatizzare scendere, e però scendere con determinate cautele, tant’è che si decide di stare a 50, 60 metri uno dall’altro. Sarebbe sceso uno davanti e gli altri a ritroso, c’era un uno degli amici che si era messo sostanzialmente in un posto sicuro di vedetta per vedere se eventualmente si sarebbe staccato qualcosa oppure no. Partì il primo, che era un ragazzo che sostanzialmente non aveva in realtà moltissima esperienza, iniziò a scendere.
12:15
Gli fu detto di fare delle curve non caricate, il più leggero possibile e abbastanza strette, cioè senza andare a interessare una zona specifica, perché cercavamo di stare per quanto fosse possibile più su questa zona di dosso, che però era molto ristretta e che confinava col pendio aperto. Lui iniziò a scendere. Ricordo che come secondo d’accordo, dovevo scendere io. Quindi, quando lui fece 50-60 metri lo vedevo avanti cominciai a scendere anch’io e sostanzialmente andiamo avanti. Il terzo, che era una persona molto esperta, seguiva me. A un certo punto ormai si erano fatti parecchi centinaia di metri lineari e devo dire che il ragazzo che era per primo era avanti a me ed io ero in una zona ormai quasi pianeggiante. Vedevo dietro il terzo che stava scendendo.
13:10
Partì il quarto e quando il quarto partì, sentì un boato, un rumore sordo e vedi che, praticamente girandomi, vedi che si staccò tutto il versante, cioè un versante che sarà stato almeno 300 metri da un punto ben più in alto rispetto a dove, a dove eravamo scesi, si si fratturò e nella neve, con un effetto, effetto onda che si vede spesso nei filmati, e cominciò a scorrere verso il basso. Io ero praticamente in piano. Tra l’altro, la persona che fu travolta perché il quarto, quando innescò la valanga, fu travolto era quella che allora era la mia fidanzata, che adesso, fortunatamente, è mia moglie. No-transcript, momenti lì perché c’è stata. Cioè, inutile cercare di adottare delle strategie, cioè per quanto riuscivo cercavo di muovere gli arti e di galleggiare, e a un certo punto percepì che la valanga stava rallentando.
15:00
Ecco, in quel momento, lì, con un gesto istintivo sostanzialmente, sentivo che la massa si fermava e sono riuscito a spingere in fuori un braccio e quando la massa mi ha compresso, mi sono ritrovato con questo braccio fuori dalla neve, questo braccio che però mi teneva libera la testa e le vie respiratorie.
15:24
Quindi ho girato, diciamo con il volto che guardava la montagna, completamente sepolto, però con questa pertugio che mi permetteva di vedere, tra l’altro, a pochi metri. Poi mi accorsi che c’era il terzo componente, che era sceso, che era stato travolto anche lui, che però era in piedi, si stava pulendo dalla neve, tant’è che dissi vieni a darmi una mano, tira fuori la palla. Perché la sensazione, pur nella tranquillità che riuscivo a respirare, quella era la cosa più importante la sensazione della compressione della massa nevosa. Era una sensazione molto brutta, nel senso che mi sembrava di essere, avevo un peso sul corpo, soprattutto sullo sterno, e mi sembrava di essere dentro una massa di gesso perché non riuscivo a muovere nulla. Questi prese la pala in un attimo e tiro fuori assieme. Tiramo fuori il primo che era sceso, il quale era, diciamo, abbastanza sotto shock ed era immerso nella neve fino a quasi al torace, però con la testa fuori, e nel frattempo avevamo appurato che la mia attuale moglie si trovava a pochi metri da noi, fuori dalla neve in colume.
16:40 – Fabio (Host)
Aveva fatto qualche centinaia di metri lineari, sicuramente dentro la valanga, e poi, quando la valanga ha rallentato, era stata risputata fuori sì, quindi volevo appunto un po’ interromperti per fare velocemente un riepilogo, perché magari chi non è più avvezzo a questo tipo di dinamiche di incidenti, magari a questo punto si è un po’ perso. Forse Allora le persone coinvolte di fatto sono state quattro a vari livelli, giusto? Quindi uno che è fisicamente staccato e gli altri tre che erano già sotto di lui, Quindi sono stati coinvolti indirettamente dalla valanga staccata dal compagno.
17:18 – Lorenzo (Guest)
Esatto.
17:19 – Fabio (Host)
Perché questoatto? per chiarire un po’ le statistiche. Approfitto per ribadirlo le statistiche di incidenti in valanga sono che variano a seconda dei posti di chi le fa.
17:27
Insomma, dal 90 al 95% delle persone travolte dalle valanghe sono travolte da valanghe che sono state staccate da loro stessi o da qualcuno che faceva parte del gruppo, si dice e questo tuo incidente è proprio uno di questi casi, nel senso tu ci stai raccontando un travolgimento che di fatto non hai staccato tu, quindi la valanga non l’hai generata tu, qualcuno però nel tuo gruppo e questo secondo me è importante, ma ne parliamo magari dopo, meglio, con calma è importante sottolineare, per poi andare ad analizzare, quali potrebbero essere state le scelte migliori o altre scelte per evitare questo problema, perché non è dato per scontato che questa sia l’unica, purtroppo, soluzione, l’unico effetto della valanga, cioè essere coinvolti in quattro.
18:10
Quindi ti abbiamo lasciato che tutto sommato dai mi parli di capire che alla fine travolti completamente non c’era nessuno no, diciamo che c’ero io, ma con il viso che guardava fuori.
18:20 – Lorenzo (Guest)
E assicuro tutti che quello è il 99%, perché quando respiri, in quel caso io anche vedevo. La tranquillità è ben diversa dal fatto di immagino di essere con la testa sotto.
18:35 – Fabio (Host)
Sì, indubbiamente la differenza fondamentale è quella, come abbiamo già detto anche in passato. Di nuovo lo ripetiamo magari per chi non è proprio nel settore, come magari un neofita potrebbe immaginare perché i tempi per il subentro dell’ipotermia sono decisamente molto più lunghi. Quindi la cosa più importante è quella di riuscire a respirare. Nel tuo caso, per fortuna questa cosa c’era, quindi poi, con calma, immagino il tuo amico ti abbia scavato fuori.
19:16 – Lorenzo (Guest)
Sì, nell’arco di 5-6 minuti è riuscito a tirarmi fuori. Abbiamo appurato, poi subito abbiamo buttato un occhio a quelli che erano sopra e la persona che era di vedetta ci ha assicurato che non ci fosse nessun altro travolto. Perché ovviamente noi sapevamo? in parte perché nel momento in cui la valanga ci ha travolto non sapevamo se poi qualcuno gli altri erano in questa zona più protetta, su questo costone, e alcuni erano lì abbastanza impauriti che guardavano.
19:45
Tra l’altro, il distacco era di circa di oltre 50 centimetri e sotto c’era uno strato di neve mista, erba, cioè, quindi una valanga praticamente di fondo che si era staccato a lungo tutto il versante ed aveva tirato giù un fracasso. Tant’è che chi era di vedetta o quelli che erano sopra perché tutti quelli che non erano stati travolti erano al di sopra del lineo di frattura dicono che per scendere sostanzialmente avevano dovuto fare una sorta di salto per colmare questo dislivello di 50 centimetri e sciare su questa erba ghiacciata, se vogliamo, da cui si era staccato tutto il lastrone, il lastrone soffice che era arrivato a fine quindi direi uno strato di ibrina di profondità.
20:29 – Fabio (Host)
Probabilmente si mi parli in versante nord, quindi quasi sicuramente quasi sicuramente probabilmente a quegli anni lì ancora mancavano i rilievi, poi post, quindi possiamo solo ipotizzare. In base alla tua esperienza di adesso, quasi sicuramente si tratta di quello che è un problema, purtroppo, che si porta avanti fino a fine stagione, come dimostra il punto di fatto.
20:54 – Lorenzo (Guest)
Eravamo a fine marzo, eravamo 26 di marzo, quindi era già stagione avvantata. Però sappiamo che quelle trappole lì, fino a che non c’è riscaldamento dell’aria nei versanti a nord non prende sole. E finché non si riscalda proprio l’aria quella trappola lì resta innescata ok, bene, allora siamo arrivati a un punto.
21:16 – Fabio (Host)
Per fortuna è tutto sommato positivo. Quindi, da lì poi, come avete concluso la giornata?
21:23 – Lorenzo (Guest)
da lì tutti sono sceli. Sul tratto meno ripido mia moglie era rimasta, aveva perso uno sci, quindi sostanzialmente lei si è dovuta fare tutta la discesa con lo sci solo, però mia moglie scia molto meglio di me, quindi non aveva problemi in quel senso. Vabbè, poi quando siamo usciti giù, insomma, così ne abbiamo anche ovviamente parlato anche a caldo con tutti. Ecco a me la cosa, diciamo, che mi risuona ancora nelle orecchie è stata, diciamo, una richiesta di uno dei partecipanti che era che aveva appena fatto il corso e quindi era un neofita. Lui era venuto pensando di trovarsi in una situazione assolutamente sicura.
22:06
Mi ha guardato e mi ha detto ma voi della scuola, quando andate in giro succede sempre così e io gli ho detto no, guarda, nella mia esperienza è la prima volta che succede, non è questo il modo di andare in giro e non sono questi gli esiti, seppur nessuno si sia fatto male. Questa cosa però mi fece pensare, nel senso che, sostanzialmente, quella persona lì era venuta via e non aveva la minima coscienza di dove si trovava e di quali erano i potenziali rischi di quella situazione e di quali erano i potenziali rischi di quella situazione.
22:48 – Fabio (Host)
Questo sicuramente è un problema e che subentra poi negli aspetti legati forse un po’ alla gestione del gruppo, perché comunque è una delle cose di cui immagino parleremo tra poco Esatto.
22:54
Bene, allora io direi che, arrivati a questo momento, il racconto è completo e quindi viene la parte bella, perché secondo me così almeno ascoltandoti spero di non offendere nessuno del tuo gruppo mi pare di capire che, insomma, un po’ di cose sbagliate ci sono state in questa uscita, e ne ho già un po’ io in mente, proprio perché, come dicevo prima, lo scelpinismo è comunque l’attività che mi è più congeniale e che probabilmente si presta anche di più poi a questo tipo di analisi, perché è quella che tende a essere molto facilmente orientata verso gruppi numerosi, che sono sicuramente uno dei problemi e quindi con tutto quello che si comporta in termini di gestione. Poi, come hai detto tu giustamente, c’è da fare una premessa giusta che, per quanto riguarda la gestione del meteo, del bollettino, che stiamo parlando appunto di una cosa di 24 anni fa, le tecnologie erano completamente diverse. io ho cominciato un po’ di anni dopo questo incidente e mi ricordo ancora che il bollettino qui in Veneto era una segretaria telefonica, cioè tu chiamavi e c’era una segretaria telefonica H24 che ripeteva il bollettino e tu dovevi ascoltartelo.
24:03
Questo era il livello tecnologico di allora. Comunque veniamo al punto. Secondo te qual è?
24:12 – Lorenzo (Guest)
intanto dimmi i tuoi, poi magari, se posso, ti mi sono segnato alcune cose te le dico dimmi i parti, tu non sono pochi’è qualcosa anche di giusto che abbiamo fatto, abbiamo commesso, se vogliamo, molti errori, allora in primis, in fase di programmazione, avevamo programmato una gita con una determinata esposizione, con la conoscenza di un determinato bollettino e poi, per una ragione meteorologica, nel senso che lì il tempo era brutto, abbiamo cambiato completamente schermo, cioè siamo andati in una valle con un’altra esposizione, al di là del confine, che ci sono delle condizioni molte volte completamente diverse. Basta passare il brainero e quindi ci siamo. Diciamo nella fase, tutta la fase di programmazione che avevamo svolto a tavolino e a casa è saltata perché siamo andati a fare una gita sulla base di una cartina, una gita che nessuno aveva fatto, che non conoscevamo, su delle condizioni che non sapevamo come avremmo trovato. E questo secondo me, è già un elemento direi che la buona vecchia regola del 3×3 è già saltata prima di metterci in partenza.
25:31
Un altro fatto è il numero. Eravamo in molti, le dinamiche di gruppi numerosi, come poteva essere? 17? era un numero che poteva evocare altri esiti, per fortuna non è stato così non sono stati.
25:47
Era un gruppo molto numeroso e che di fatto era affidato a alcuni soggetti che avevano una manifesta competenza superiore, ma non c’era un controllo nel senso c’era il 17 e si andava su, i primi salivano e gli altri dietro a ruota, e anche questo sostanzialmente è una forma di errore, perché gruppi così numerosi nella gestione rischiano di diventare molto problematici. L’altro fattore che comunque è stato una delle concause è che in questo gruppo numeroso c’erano molte persone esperte e io non ero tra i più esperti, però possiamo dire che ero esperto perché ero già istruttore regionale, avevo già parecchi anni di attività e in quei tempi andavo molte volte durante l’anno, molte volte durante l’anno, e però davanti c’erano sostanzialmente quelli che indubbiamente avevano titoli maggiori, ma avevano anche un’esperienza molto, molto più grande. E parlo per me.
26:48
Il mio sentire era che io, per carità, percepivo che da alcuni segnali che avevo visto, ad esempio quella valanga di fondo inaspettata, una valanga di di dimensioni veramente enormi poi salendo, guardando la consistenza della neve, che era neve, che comunque era legata, avevo dei forti dubbi, dubbi che però in una dinamica come questa non ho espresso perché davanti c’erano delle persone che secondo me erano più esperte e quindi io mi sono visto bene dal dire qualcosa. Peraltro, poi dopo, parlandone, anche i più esperti avevano dei dubbi, però per una serie di ragioni, chi era davanti andava su e quello che era dietro, che magari aveva un’esperienza paritetica, si è guardato bene dal dire no, beh, fermiamoci e pensiamoci un attimo. E questa è un’altra dinamica scorretta.
27:53 – Fabio (Host)
Sì, questo mi dà il là per ribadire ancora una volta l’importanza degli aspetti legati alla comunicazione, soprattutto nello scerpinismo, un po’ in tutte le attività, ma a maggior ragione nello scerpinismo, la tendenza, come giustamente hai detto tu adesso non ti devo andare troppo a fondo perché la letteratura nel frattempo ne è uscita.
28:04
Quello anche che ci tenevo a precisare, che è quello che stai dicendo tu riguardo al 2000 e se pensiamo che i primi studi sulle trappole euristiche, soprattutto in ambito sempre valanghe, sono al 2004, 2004-2006, i primi studi seri, quindi stiamo parlando veramente di qualcosa ancora prima che si fosse formalizzato. Tutte le cose che sappiamo adesso e che già in questo podcast abbiamo ripetuto tante volte, relative alle trappole euristiche e anche quelle della comunicazione, cioè i rapporti di comunicazione, come hai detto tu, non sono saltati, non sono neanche mai esistiti. Questo è un aspetto che però invece secondo me rischiamo di portarci avanti ancora ai giorni d’oggi. Quindi è un altro aspetto sul quale dobbiamo fare un po’ di comunicazione, di informazione, per stimolare la gente a andare a leggere qualcosa, approfondire, soprattutto chi si muove nello scelpinismo. Al di là del fatto che, come hai detto giustamente tu, il problema monta è la numerosità, però il problema della comunicazione riguarda anche gruppi di 4 persone, 6 persone comunque una differenza.
29:04
Inevitabilmente c’è sempre una differenza di esperienza. E anche se non c’è, qualcuno può vedere delle cose e non riuscire a riconoscerle e un altro sì, però magari sta zitto per dire vabbè, le avrà viste anche lui. E questo?
29:17
lo diamo per scontato esatto, avrà capito anche lui che di là non bisogna andare. E invece no, magari non l’ha capito in quel momento, e non vuol dire che non sia esperto. Magari in quel momento sta pensando ai fatti suoi, sta pensando alle pelli che non tengono, sta pensando a chissà che cosa e non si accorge di alcune cose. Quindi, questo invito che voglio fare così personalmente, è proprio quello di cercare di farlo, di parlare più spesso e cercare di prendere l’abitudine di farlo in determinati punti, cioè darsi dei punti di check, di controllo, nel quale allinearsi e vedere se siamo ancora tutti della stessa idea, soprattutto della sul continuare l’uscita che stiamo facendo e su confrontarci su quello che abbiamo, su quelle che sono le nostre percezioni. Ti lascio ancora la parola.
29:59 – Lorenzo (Guest)
Mi pare che c’è altro c’è anche allora, venendo a questo discorso, poi, quando si è iniziato a parlare, come dici tu, qualche anno dopo, di trappole oristiche, io mi sono visto pienamente dentro in questa dinamica. E anche la questione di parlarsi e comunque fare dei momenti in cui ci si confronta senza che ci sia uno davanti e gli altri che seguono. Poi, nel proseguo della mia attività questo l’ho sempre messo in atto, anche sulla memoria di quell’esperienza in cui io mi rendevo conto che c’erano molte cose che non andavano, però per una serie di ragioni davo per scontato che invece qualcun altro avesse valutato e magari gli altri pensavano. Però per una serie di ragioni davo per scontato che invece qualcun altro avesse valutato e magari gli altri pensavano alla mia stessa cosa. Quindi, su questo d’accordissimo con quello che dici tu. Un altro errore che secondo me è stato fondamentale è stato anche quello di non rendere partecipi tutti i partecipanti a quello che era il livello di rischio che si stava affrontando.
31:06
Perché se da un lato è vero che quella stessa salita, se fossimo stati poche persone esperte, probabilmente ci saremmo fatti delle domande, ma non necessariamente saremmo tornati indietro Sul presupposto che se avessimo deciso di salire, eravamo però tutti coscienti che era una situazione che aveva un margine di rischio ben elevato. In realtà, le persone di prima esperienza che erano in gita con noi non avevano assolutamente questa percezione del rischio e quindi non l’hanno condiviso con noi. Sono salite pensando di essere in una qualsiasi gita con dei margini di sicurezza come sono quelli che, ad esempio, teniamo nei corsi, dove abbiamo dei margini di sicurezza molto diversi rispetto all’attività individuale?
31:52 – Fabio (Host)
Sì, questo è di nuovo un altro argomento molto interessante. Io lo chiamo la consapevolezza del rischio. Quindi la percezione è che non ci sia un livello di rischio, come hai detto giustamente tu, che faccia da limite. Ognuno di noi ha il suo e quindi quello che è importante è decidere quanto questo limite vada bene per noi, ma anche per le persone che sono in uscita con noi. Quindi, detto ciò, c’è un qualcos’altro, perché sennò io ho un appunto che mi ero preso, che volevo condividere con te, allora.
32:26 – Lorenzo (Guest)
Dopo magari parliamo delle cose giuste che secondo me avevo fatto. Però ben venga il tuo appunto.
32:33 – Fabio (Host)
Allora aggiungo io una cosa Uno degli aspetti che mi ha colpito del racconto è che comunque, per quanto distanziati, eravate in quattro su quel pendio. E questo è una cosa che mi colpisce molto perché, guardando le analisi di chi magari questo lavoro di analisi sugli incidenti da valanga lo fa da più tempo in maniera più strutturata, ovvero i nordamericani, questo è proprio uno degli errori che loro, nelle analisi, evidenziano espressamente a bordo dell’articolo in rosso, il fatto che ci fossero più persone sul pendio. Quindi questo è una cosa che mi ha un po’ colpito perché chiaramente, se ci fosse stato un distacco con le tre persone, tutti e quattro sul pendio, in caso di travolgimento ripeto, nel vostro caso una persona era rimasta fuori, ma se tutti e quattro eravate sotto, anche banalmente fino alla vita, diventava davvero veramente un problema liberarsi. Quindi questo magari è un suggerimento che mi sento così di dare partendo da questo incidente.
33:50 – Lorenzo (Guest)
Sono perfettamente d’accordo, nel senso che anche quello fu un errore, nel senso che un pendio del genere avremmo dovuto percorrerlo fino ad arrivare a un luogo sicuro, uno alla volta. Questo non c’è dubbio. Eravamo sì distanziati, ma bisognava percorrerlo uno alla volta. Certo, sono assolutamente d’accordo con quello che dici.
34:13 – Fabio (Host)
Su questo discorso della zona sicura faccio un ulteriore accenno, perché l’hai espressamente detto, tu che eri in una zona pianeggiante, eppure, sei rimasto comunque coinvolto E questo mi permette di aggiungere magari un’informazione poco nota che riguarda gli angoli.
34:34
Noi siamo abituati a dire che il pericolo delle valanghe è dai 30 gradi in su 27, se vogliamo essere formale, insomma diciamo rotondiamo a 30, dai 30 gradi in su. Quello che magari non non è noto a tutti è che le valanghe continuano a camminare anche in piano e quindi quello che dobbiamo considerare come angolo sicuro in realtà non sono più i 30 gradi, ma sono questi 20 gradi misurati dal punto di un ipotetico distacco. Questo cosa vuol dire? che se io sono appunto in piano, ma traguardando il punto potenziale di stacco sono sopra i 20 gradi, allora sono in realtà ancora in una zona pericolosa, cioè io sonoettivamente sul piano, ma la valanga può arrivare da me e coprirmi, come è successo a te. Di fatto Esatto.
35:18
Questa era l’altra cosa che un po’ mi aveva colpito e che ho detto vabbè, approfitto per citare anche questo aspetto che l’angolo dei 20 e 30 gradi è un’altra cosa che magari si conosce poco, però è molto importante.
35:32
Poi chiaramente varia ulteriormente in funzione del tipo di neve, insomma, tanti aspetti sono quelle solite regole fatte un po a spanne, che devono andare bene per tutto, e quindi prendiamo la punto generale. Poi, chiaramente la valanga bagnata piuttosto che l’astrone sono sicuramente scorrimenti diversi, però questo è quanto, così quindi anche l’abitudine a dire ok, io sono in piano, però sono abbastanza distante dal pendio punto di domanda, e quindi sono in una zona sicura.
35:57 – Lorenzo (Guest)
Nel tuo caso, purtroppo, la risposta era no quindi, di fatto, da quel momento lì, allora io lì in quel momento pensavo di essere sicuro, ma comunque non c’eravamo concordati di fermarci lì perché non era il punto di ritrovo sicuro. Però io avevo quella percezione e da allora il mio modo di andare in giro è cambiato. Anche su quello ho considerato i punti sicuri in maniera diversa. Lì non lo era, lì non lo era, anche se dico la pendenza neliamo, nel punto in cui mi trovavo ed era un periodo molto esteso, sarà stato forse 10 gradi, 5 gradi, però poi si è rivelato la mananga mi ha preso. Erano gli ultimi centinaia di metri. Però se non fossi stato fortunato sarei stato sotto.
36:48 – Fabio (Host)
Veniamo allora alla parte conclusiva di questa intervista e quindi parliamo come dice dicevi tu delle cose che sono state fatte.
36:56 – Lorenzo (Guest)
Bene, Allora sì, alcune cose che sono state al di là della gran fortuna, che quella non dipende da noi, perché sappiamo benissimo che nel momento in cui c’è un travolgimento ci sono delle dinamiche per cui uno può morire da traumi. Quindi, insomma, per venirne fuori in columi ci vuole comunque una gran fortuna. Quindi, insomma, per venirne fuori in Columi ci vuole comunque una gran fortuna. Le cose giuste che abbiamo fatto sono state quelle ad esempio, in salita abbiamo rispettato dei crismi diversi perché siamo stati su una parte del pendio, che era una specie di dosso, che tra l’altro era quello in cui si trovavano ancora i superstiti che non sono stati travolti, che sostanzialmente si è rivelato sicuro.
37:34
Poi, l’ebbrezza della discesa, e questo è anche un altro elemento che forse non avevamo individuato, ma che va osservato l’ebbrezza della discesa, la voglia di sciare perché la neve era comunque una bella neve che legava, però sciabilissima ci ha spinto comunque a mettere in atto delle dinamiche, per cui abbiamo trascurato i crismi di sicurezza e siamo scesi, come rilevato, tutti su uno stesso pendio, per carità, distanziati, ma non come avremmo dovuto scendere e non come eravamo, non quelle dinamiche con cui eravamo saliti. E questo, diciamo, è un aspetto della salita. L’altro aspetto è che comunque c’era una persona che si era presa così l’incarico di stare da vedetta, visto che sapevamo e che al momento in cui siamo siamo stati è stato il travolgimento. Subito dopo avevamo la certezza che non c’era più nessuno sotto, perché in travolgimenti multipli sappiamo anche che uno dei elementi conoscitivi, che non sempre così certo, è capire quanti sono sotto in realtà, la persona che era di vedetta ci fece segnali dicendo siete tutti fuori.
38:40 – Fabio (Host)
e questo è un altro dato, un’altra cosa corretta che abbiamo fatto concordo decisamente che vale anche per gruppi nemmeno numerosi, necessariamente il fatto che ci sia comunque qualcuno che, appunto, mentre gli altri sciano uno alla volta qualcuno più di uno magari, se si può gli occhi sul pendio per capire esattamente cosa sta accadendo. Quindi, anche se il problema non è sapere quanta gente c’è sotto, ma sapere già il punto in cui uno scompare, riduce poi di molto i tempi di ricerca.
39:05
Quindi anche questo aspetto qui è una buona abitudine da prendere, legata al fatto di sciare uno alla volta. Uno scia e gli altri guardano, punto. Comunque, concordo con te. Purtroppo, queste sono le sarebbero le le regole migliori, però sono le più difficili da applicare perché quando scatta la, voglia di sciare, si parte e si scia. Quello che dobbiamo fare è cercare di ricordarci, proprio condividendo questi incidenti, ricordarci, proprio condividendo questi incidenti, che questi sono di fatto degli errori e quindi a volte possono la maggior parte delle volte per fortuna va bene e a volte no.
39:39 – Lorenzo (Guest)
Esatto. Bene, una brevissima considerazione di natura legale, nel senso che non c’è stato un danno, quindi non può esserci stata nessuna conseguenza. Se ci fosse stato un evento dannoso, cioè una perdita di una vita piuttosto che dei danni fisici, beh lì non avremmo avuto, secondo me, giustificazioni, nel senso che i soggetti che avevano una certa esperienza avrebbero dovuto tutelare quelli che invece avevano un’esperienza molto più limitata e che, ripeto, erano lì pensando di fare la gita domenicale, ma senza rendersi conto che poi la situazione era diventata critica. Quindi diciamo che è andata bene, però quegli errori avrebbero potuto avere esiti ben diversi.
40:25 – Fabio (Host)
Ultimo minuto. Ribadisco ancora una cosa di cui abbiamo già parlato più volte, che se questo incidente avvenisse oggi, nel 2000, non ho idea di quale fosse il panorama legale. Ma se questo incidente avvenisse oggi la cosa sarebbe girata relativamente sotto traccia e non ci sarebbe stato nessun rapporto ufficiale, e questo prevalentemente perché comunque qualcuno avrebbe rischiato una denuncia penale, a maggior ragione con quattro coinvolti. Mi immagino che sicuramente qualcosa sarebbe partito dal punto di vista legale e questo è sicuramente un deterrente che non aiuta nell’analisi degli incidenti, nelle statistiche, perché, ripeto, le statistiche degli incidenti di Avalanga sono esclusivamente o quasi esclusivamente incidenti in cui interviene il soccorso e l’autorità giudiziaria, per quanto certo però con gente come il vostro ci fa capire che ci sarebbero. Ci sono sempre tante cose che si possono tirar fuori da un incidente. Quindi dovremmo fare il contrario, non dovremmo disincentivare la condivisione degli incidenti, bensì incentivarla, anche in forma anonima, magari, non lo so. Una formula però dobbiamo trovarla perché, ripeto, questi incidenti sono una fonte di informazione, come hai detto tu. Mi ha colpito, l’hai detto due volte nel tuo racconto.
41:35
Da quella volta io faccio così, da quella volta adesso non faccio più colà è il succo di questo podcast, quello che tu hai fatto e che stai facendo perché ti è successo, a te questa cosa, però tutti quegli altri che non l’hanno mai saputo fino ad oggi, magari non lo fanno, e quindi questo è un altro aspetto, così un po’ più filosofico. Se vogliamo però, che trovo molto, importante.
41:59 – Lorenzo (Guest)
Insomma, difatti, solo iniziative come la tua permettono di evidenziare perché quasi sempre il fatto di cronaca viene visto o per additare responsabilità, raramente viene valutato sostanzialmente sotto il profilo con cui ne stiamo parlando. Tra l’altro. Insomma, abbiamo una normativa che molte volte è anche molto restrittiva, più che la normativa, l’interpretazione giurisprudenziale. Tu sai, sei istruttore come me, sai che ci sono delle sentenze. Ultimamente che un po’ spaventano, e quindi è anche normale che uno succeda un fatto, se lo tenga sotto traccia.
42:35
Se non viene comunicato dal suo forzatino, quel fatto lì resta. Però secondo me parlarne aiuta a sviscerare tutte queste dinamiche che a quei tempi erano anche impensabili, è un motivo di crescita per tutti va bene, io ti ringrazio davvero di questa tua disponibilità e questo tuo intervento.
42:55 – Fabio (Host)
Come dicevo, magari dopo ne parliamo in separata sede, perché hai accennato brevemente un po’ alla fine il discorso della responsabilità e credo che possa essere anche questo un argomento sul quale torneremo. Spero di risentirti presto per argomenti meno impattanti grazie di tutto, fabio.