Credo che in nessun episodio precedente abbiamo mai messo insieme tanti argomenti interessanti come durante questa conversazione con Daniele. Ne è venuto fuori un episodio più lungo del solito, ma non c’era davvero niente che potesse essere lasciato fuori. Partiamo da un incidente in valanga sulla montagna “di casa” (qualcuno ha detto “trappola euristica!”? Esatto!) per finire a parlare di.. no, non ve lo anticipo: ascoltate tutto l’episodio, anche “a rate” se serve, vi prometto che ne vale la pena!
Trascrizione dell'episodio
0:00:00 – Fabio
Io volevo cominciare facendo un po’ lo splendido, dicendo che per la prima volta abbiamo un ospite internazionale. In realtà non è vero, nel senso che mi è venuto in mente che già nei primi episodi abbiamo avuto Stefan, che era un ospite, appunto, internazionale. Allora ripiego su una seconda via. Finalmente scopro da dove arrivano quelle statistiche dello 0,5% di ascolti dagli Stati Uniti, giusto? Quindi, benvenuto, daniele, a questo podcast. Grazie per avermi contattato e quindi lascio spiegare a te perché ho fatto questa introduzione e poi ci racconterai anche un po’ di te, della tua esperienza in montagna, e poi condividerai magari il racconto dell’incidente. Vederai magari il racconto dell’incidente.
0:00:44 – Daniele
Sì, grazie, fabio, Grazie mille di darmi la possibilità di condividere questa storia. È stata una storia che sul momento non è stata piacevole da vivere perché, come vedremo, è durata tanto in una giornata molto, molto, molto fredda, però insomma, alla fine tutto si è concluso per il meglio. quindi, insomma, ritengo che sia necessario raccontare questa vicenda così che gli altri colleghi alpinistici e alpinisti possano imparare dagli errori che ho fatto ok, quindi tu dove ti trovi adesso?
mi trovo, non proprio dietro l’angolo. Attualmente io vivo a San Francisco, quindi sono nella costa ovest degli Stati Uniti, a circa 9 ore di fuso orario, quindi un pochino sono ancora indietro nel tempo rispetto a voi e vivo qua da circa due anni. Mi manca tanto il mio appennino, quindi io sono nativo, originario di Parma, quindi, diciamo, ho sempre frequentato l’appennino parmese, reggiano, modenese, e l’incidente che andremo a analizzare oggi è proprio successo in una delle montagne che considero le montagne di casa che sono, appunto, che è il Cusna, la seconda montagna più alta dell’Appennino Emiliano. È una montagna che ho sciato decine e decine di volte.
0:02:22 – Fabio
Insomma, quindi questo è un po’ il posto dove tutto è successo ok, prima di arrivare magari, appunto, al dettaglio della giornata, dici ancora qualcosa di te. Dal punto di vista dell’esperienza diciamo, ci piace sempre un po’ inquadrare l’esperienza delle persone prima dell’incidente, così capiamo un po’ appunto che non si tratta di incidenti di persone che completamente al dig, incidenti di persone che completamente al digiuno di quello che stanno facendo. Quindi, dici un po’ di te.
0:02:50 – Daniele
Allora, diciamo all’epoca dell’incidente, avevo 33 anni. Ho iniziato ad andare in montagna fin da piccolino, a sciare da 6 anni e ho iniziato a fare scelpinismo da quando ne avevo 18,. E ho iniziato a fare sci alpinismo da quando ne avevo 18, quindi tanti anni prima. Ho fatto corsi del CAI, sa1 e SA2,.
Sono diventato anche istruttore sezionale del CAI per un paio d’anni, da circa quando avevo 23 anni o 24, adesso non mi ricordo esattamente sono entrato nel Corpo Nazionale Soccorso Alpino di Parma, prima come aspirante e poi come operatore di soccorso alpino. Poi, per motivi di studio e lavoro, ho vissuto all’estero per un po’ d’anni per poi tornare a Modena. Quindi ho iniziato nel soccorso alpino di Parma, poi l’ho messo in pausa per un paio d’anni, per tre anni, e poi sono ritornato appunto nel soccorso alpino Montecimone, che è appunto, diciamo, la squadra di Modena. Quindi ho esperienza appunto di scialpinismo, tanta, tanti anni di scialpinismo, ma soprattutto anche di alpinismo, alpinismo su roccia e in generale alpinismo su roccia, qualcosa cascate di ghiaccio, un po’ di alpinismo anche d’alta quota, ma diciamo principalmente sci alpinismo e alpinismo su roccia.
0:04:11 – Fabio
Bene, condivido molto queste passioni, entrambe le passioni, come giustamente. Va bene, allora direi che possiamo così venire al succo della conversazione, ovvero al racconto dell’incidente. Al succo della conversazione, ovvero al racconto dell’incidente.
0:04:28 – Daniele
Prima di tutto, ti chiederai di dirci la data, se te la ricordi. Sì, allora è stato. Me lo ricordo bene perché era il 13 febbraio del 2021. Era un sabato.
0:04:35 – Fabio
Va bene, allora raccontaci un po’ come è nata l’idea di questa uscita, com’è partita e com’è finita, visto che non è finita benissimo, o meglio, è finita bene in assoluto. Però comunque c’è stato un incidente.
0:04:46 – Daniele
Esatto, partiamo dal giorno prima, quindi era un venerdì, tipicamente, come tutti noi scialpinisti facciamo, bisogna decidere dove andare.
Diciamo le previsioni non erano delle migliori. Per il giorno dopo, però c’era una grande speranza perché avevano messo durante la notte, appunto tra il venerdì e il sabato, circa 10 o 15 centimetri di neve fresca, diciamo in tutta la zona dell’Appennino, con vento, scarsa visibilità, diciamo nella prima parte della mattina molto freddo, perché si parlava di circa meno 12, meno 13 grad, quindi freddo veramente grosso. E quindi abbiamo detto beh, cavoli, c’è tanta neve. Insomma, per noi appenninisti 15 centimetri di fresca è una buona quantità di neve. Quindi abbiamo detto beh, proviamo, proviamo ad andare a vedere. Andiamo in una montagna che conosciamo, che è appunto il Cosna. C’è questo canale che si chiama il canale di Prasordo, che è un canale intorno ai 25-30 gradi, quindi molto sicuro. E abbiamo detto proviamoci ad andare a fare questa uscita, ci diamo appuntamento l’indomani, più o meno da Modena al Cosna sono circa un’ora, un quarto, un’ora e mezza di macchina. Insomma, partiamo e arriviamo al parcheggio. Il tempo era veramente brutto. Devo dire che quando siamo arrivati la visibilità era estremamente scarsa. C’era molto vento, c’era tanta neve fresca, cioè tanta, appunto, quei 10-15 centimetri che erano stati previsti, però non stava nevicando, quindi fondamentalmente c’era solo vento, nubi molto basse e freddo.
Partiamo dal gruppo un attimo. Magari accenno il gruppo eravamo tre persone, compreso me, tutti quanti scialpinisti con tanta esperienza. Probabilmente io ero quello che aveva l’esperienza temporale più ampia, quindi facevo scialpinismo da più anni rispetto agli altri. Però entrambi erano scialpinisti esperti, avevano fatto corsi CAI o corsi con le guide. Quindi insomma, nessuno del gruppo era un principiante o comunque una persona che magari aveva fatto anche scialpinismo, senza però le basi, diciamo, di autosoccorso e di movimentazione in ambiente montano. Quindi partiamo dal parcheggio, iniziamo a salire la strada, o perlomeno la traccia di salita del Cusna invernale è leggermente diversa da quella estiva. Fondamentalmente la traccia si sviluppa lungo uno spallone.
A un certo punto questo spallone finisce. Anche lì le pendenze sono intorno ai 20-25,. Massimo 30 gradi. Ci sono dei punti in cui, quando è molto ghiacciato, bisogna o mettersi i ramponi oppure, se è la tipica neve primaverile, al mattino bisogna salire con i rampant. Quindi ci sono dei punti un po’ ripidini, dove in caso di condizioni un po’ ghiacciate non si riesce a salire con gli sci.
Insomma, fatto sta che riusciamo a fare in salita questo spallone con le pelli. Quindi non abbiamoità circa 10 metri massimo. Poi un po’ ogni tanto si apriva, ogni tanto si chiudeva questo vento molto, molto forte e soprattutto molto freddo, ma molto freddo. Siamo arrivati a circa 200 metri sotto la cima e quello, diciamo, è il punto dove abbiamo deciso di che non si poteva andare oltre, cioè non potevamo raggiungere, non potevamo raggiungere la cima, viste le condizioni, e abbiamo deciso di fare dietro front, come dicevo all’inizio, la discesa standard, diciamo la discesa classica, la, la più sicura, la più a prova di bomba, è questo canale che si chiama canale di Prasordo, si chiama canale, ma in realtà è molto largo.
Il Prasordo è il nome di questo torrentello che ci scorre. Quindi l’idea è di scendere da quel canale. Quindi ci mettiamo in modalità di discesa, togliamo le pelli, in condizioni veramente estreme, riusciamo a togliere le pelli, sistemarci, ci mettiamo gli sci e iniziamo la discesa, iniziamo a scendere, scendiamo, scendiamo. A un certo punto mi rendo conto che qualcosa non mi stava tornando. Stava dicendo ma queste pendenze non sono quelle del prassordo, proprio perché il pendio era stava diventando ripido, ma ripido parecchio, parliamo di 40-42 gradi.
Insomma, inizi a sentire che è ripido. Magari sarà il fatto che siamo su un versante del canale, perché il canale ha dei versanti che sono un pochino più ripidi e quindi, ho detto, magari siamo in una zona più ripida, però continuando ad andare avanti, probabilmente ritorno alle pendenze a cui ero abituato. Quindi questo è stato il primo campanello d’allarme che mi ha detto c’è qualcosa che non va. Vabbè, comunque continuiamo. E a un certo punto vediamo un po’ in lontananza una scarica, una piccola scarichetta, e è il che gli secondo campanello d’allarme che mi ha iniziato a dire cioè non è che uno, quante volte uno fa il jalpinismo, si vede una scarica, così di fianco è un bel segnale di allarme è un bel segnale di allarme.
Quindi lì mi sono rizzati tutti i pegli e ho detto bene, entriamo in modalità allerta. Quindi ho iniziato, ho detto agli altri due colleghi di uscita di separarci. Io mi sono messo per ultimo proprio perché comunque sapevo che, essendo del soccorso alpino, avevo fatto tanti corsi anche sulla gestione delle valanghe. Quindi, appunto, una delle regole è cercare di tenere il più esperto, diciamo per ultimo, proprio perché se dovesse succedere un evento valanghivo il più esperto è ultimo, proprio perché se dovesse succedere un evento valanghivo il più esperto è quello che è in grado poi di gestire l’evento. Quindi, insomma, ci siamo distanziati al massimo che ci permetteva la visuale di vederci, perché ricordo che appunto, la visibilità era estremamente scarsa e quindi ci siamo disseparati, qualcosa come secondo meina di metri più o meno l’uno dall’altro. Quindi alla fine avevamo una distanza totale di circa 20 metri e niente. Quindi continuiamo la discesa da questa pendenza che continua a non mollare. E quindi, man mano che scendevamo, scendevamo, ho capito che non eravamo nel prassordo. Era iniziato a venirmi il dubbio che non fossimo finiti sulla ovest, sulla nord-ovest del Kuzna, e che poi, col senno di poi, si rivelerà essere proprio il posto dove eravamo finiti. Quindi niente, continuiamo ad andare avanti. Continuiamo ad andare avanti. A quel punto mi sono detto eh, ormai siamo scesi troppo, sarebbe troppo complicato, diciamo, riconvertirsi a ramponi e tornare su e insomma spostarsi. Quindi abbiamo continuato a scendere. Insomma, a un certo punto c’era questo cambio di pendio, obbligato dall’orografia del posto, cioè non potevamo, non potevamo continuare a andare dritto perché andava giù, andava giù dritto, quindi abbiamo dovuto tagliare questo canale. Anche lì un altro campanello d’allarme. Una delle regole numero uno è non tagliare i pendii, soprattutto quando hai visto una scarica su quel pendio E però eravamo anche bloccati, cioè non potevamo risalire, o perlomeno potevamo, ma dovevamo switchare, non potevamo scendere da quel lato del canale perché non si poteva andare oltre e quindi l’unico era attraversare. Quindi ho detto bene, anche qua distanziamoci ancora di più, quindi perdiamo la vista. Il primo va avanti, attraversa il canale. Dopo 10 secondi parte il secondo e dopo altri 10 secondi parte l’ultimo. Quindi parte il primo, lo vediamo, lo vedo scomparire nella nebbia, attraversa il canale, parte. Il secondo, inizia a attraversare, inizia a attraversare e a un certo punto inizia a vedere, tipo al rallentatore, tutta la montagna che inizia a muoversi. È una cosa veramente particolare da descrivere In questo silenzio in realtà c’era il rumore del vento, ma tutto sembra rallentare. Quindi ho iniziato a vedere il pendio che ha iniziato a creare tutte delle increspature, il mio amico davanti che stava asciando io ero fermo, quindi lui probabilmente non so se se ne è accorto quindi a un certo punto ho iniziato a vedere tutta la montagna che ha iniziato a muoversi, sempre in maniera molto fluida, molto lenta, Ha preso velocità. Queste increspature sono diventate sempre più grandi fino a quando, ma veramente nel giro di pochissimi secondi, hanno completamente inghiottito il mio amico davanti. Ho fatto in tempo di realizzare cosa stava succedendo, che ho iniziato a sentirmi muovere.
Quindi tutto ha iniziato a muoversi. La prima cosa che mi sono detto è stato no, no, no, no, non può succedere. Istintivamente. Ho provato a sciare verso, diciamo allontanandomi dal canale, tornando verso questo spallone ripido, quello che cercavamo di evitare. Ho cercato di salire, racchettando il più velocemente possibile per prendere velocità e quindi ho cercato di allontanarmi.
Sentendo che però tutto si stava muovendo, a un certo punto uno sci è stato preso dal flusso di neve. È incredibile la forza, cioè uno prova a stare a galla, ma proprio vieni trascinato dentro. Quindi niente, sento che cado. Lo sci destro viene trascinato dentro il flusso, anche la bacchetta destra viene trascinata dentro e lì ho pensato è finita, perché lo sai che quello davanti a me, è andato sotto te, vieni tirato sotto. Senti proprio ti sta tirando dentro.
E lì l’unica cosa che ho fatto è stato sperare che tutto si fermasse e per fortuna, dopo qualche secondo tutto si è fermato. Quindi sono rimasto appunto, alla fine semi sommerso con un bastoncino e lo sci il bastoncino l’ho perso anche lì. Vabbè, per fortuna, grande regola che faccio sempre, che anche l’ho applicato, quella di non mettere mai i laccioli dentro dentro il bastoncino. Quindi, insomma, sono riuscito a tirare fuori la mano dalla neve e lo sci è stato più difficile perché ho dovuto scavare con la mano e cercare di liberare lo sci. Quindi niente, però insomma, a un certo punto sono riuscito a togliermi gli sci, me li sono rimontati, me lo sono rimontato per cercare di muovermi meglio.
A quel punto lì parte l’assessment e la prima cosa che ho detto è ok, sono vivo, perfetto, il mio amico, ho visto uno finire sotto la valanga. Quindi la prima cosa istintiva che ho fatto è ho tirato fuori larva e l’ho acceso. Ho iniziato perché non sapevo l’altro, non l’avevo visto. Quindi ho agganciato subito un segnale e ho iniziato a inseguirlo. All’inizio era abbastanza lontano, mi ricordo tipo 20 metri, qualcosa, così.
Quindi inizio ad andare verso il segnale e intanto mi guardo intorno per vedere se c’era qualcos’altro fuori divisibile. Insomma, potevo capire se era l’altro compagno che non sapeva ancora cosa gli fosse successo. Insomma, man mano che comunque seguo l’arva, vedo una macchia sotto, vedo una persona sarà stato 50 metri più sotto, che era, diciamo, il primo, che era partito, e vedo che mi ha visto, tipo gesticolava. Io gli ho urlato di venire, ho gesticolato anch’io e poi, insomma, dopo sono ritornato full attention sull’arva, quindi niente, faccio la ricerca, arrivo praticamente sul target, faccio la croce, tiro fuori la sonda, sondo, dopo tre sondate, sento qualcosa, sento qualcosa. Guardo la sonda, la scala graduata, e lì ci sono rimasto un po’ male perché mi dava il punto di contatto a 1,3 metri di distanza. Quindi era Bello fondo.
Bello, fondo, esatto Niente. quindi trovato, inizio a scavare, quindi scavo, scavo, scavo. Per fortuna e questa è stata un’altra grandissima fortuna la neve era polvere, perché, appunto, era la neve di quella notte, unita a temperature estremamente basse, hanno reso, diciamo, l’operazione di scavo relativamente semplice, anche se comunque sono dovuto andare avanti più o meno, secondo me, tre minuti di scavo per arrivare poi alla testa, appunto, del mio amico. Quindi proprio, sono arrivato dritto, boom subito sopra sono pochi.
0:17:54 – Fabio
Diciamoci comunque la verità è andata bene, perché davvero 3 minuti, 1 metro e 30, un numero che non si sente molto spesso, quindi effettivamente condizioni veramente ottimali di neve quella è stata per me la grandissima fortuna comincia a cementarti un po’ la neve, diventa veramente difficile spostare un metro e trenta di profondità di neve, anche di neve più pesante, quindi per fortuna, penso anche se fosse stata una valanga, lastroni, quindi insomma vabbè, lì sarebbe stato praticamente impossibile.
0:18:25 – Daniele
Sicuramente anche il fatto della profondità, probabilmente, che fosse così profondo è proprio, forse anche figlioviene, quindi anche lì gran sollievo era completamente perso. Immagino, insomma, immagino il trauma, immagino che cosa cavolo ti viene in mente, ti risvegli completamente circondato dalla neve in un buco, con il corpo completamente immobilizzato e solo la testa fuori, comunque, vabbè, insomma, lo tiro fuori, siamo a posto. La cosa che ho fatto poi a quel punto lì, è stato subito chiamare il 118. Quindi ho chiamato il 118, per fortuna il telefono prendeva un pochino, quindi insomma sono riuscito ad avere la linea e quindi ho attivato i soccorsi, ho mandato le coordinate GPS e insomma ho comunicato che stavamo tutti e tre bene, insomma, al che.
Quindi, diciamo, da quando è iniziata la valanga, quando ho tirato fuori la testa del mio amico, saranno passati secondo me, 5-6 minuti. Quindi è stato tutto estremamente, molto veloce, tutto sotto i famigerati 15 minuti, quelli dove insomma c’è, statisticamente, nei primi 15 minuti c’è l’80% di chance di trovare la persona viva. Adesso non so, questo è un ricordo che ho dei corsi che mi ha fatto questo corso, non so se questi numeri sono cambiati purtroppo sono cambiati.
0:20:04 – Fabio
Ho messo un post un po’ di tempo fa. Ho fatto un post che avevo trovato un articolo che gli stessi autori che nel 94, mi pare, avevano fatto per la prima volta, avevano formulato i famosi 15 minuti. Hanno avuto accesso a tutta una serie di dati, di questi relativi successivi 30 anni, e hanno rifatto i calcoli e sono scesi a 10 minuti. Quindi per un periodo si era passati da 15 a 18, che non sono mai riuscito bene a capire su quali dati. Fatto sta che adesso la ricerca, appunto chi ascolta la può trovare sul blog del sito associato a questo podcast c’è un articolo dove appunto i tempi pare che non siano superiori ai 10 minuti, in realtà per l’asfissia ovviamente. Poi, chiaramente, come dici tu, c’è una prima fase di trauma che comunque interrompe immediatamente la possibilità di sopravvivenza, poi c’è il primo decadimento nei 10 minuti e dopo subentrano tutti gli altri ipotermia e situazioni un po’ particolari sacche d’aria situazioni che, insomma, non vanno considerate nel senso che il lavoro è appunto solo sui primi, sui primi dieci minuti.
Poi, come dici giustamente tu ok, quelli sono i tempi. Ma io ho sempre risposto vabbè, ok, non è che solo perché sono tre minuti in più, allora mi metto lì e mi bevo anche qualcosina, bevo un po’ di tè prima di cominciare la ricerca. È chiaro che il meglio che può Dopo, come nel vostro caso, ci sono situazioni particolarmente fortunate valanghe che magari non ha corso tantissimo, neve facile da scavare, eccetera, e altre che invece sono estremamente negative valanghe che si fanno 500-600 metri di dislivello e si portano giù il travolto e quindi bisogna andare a cercarlo, prenderlo e tutto, insomma. Quindi sono situazioni che ovviamente ogni volta sono a parte. Per fortuna questa volta le condizioni si sono allineate dalla parte giusta, dai mettiamola così esatto nella sfortuna.
0:21:54 – Daniele
Siamo stati fortunati. Comunque sì, giusto, anche parlando di sacche d’aria, chiaramente era invece in questo caso, proprio perché era polvere, era completamente sommerso e non c’era un, aveva la neve in bocca. La prima cosa che ho fatto è tolto la neve dalla bocca, ho cercato di farlo rinvenire. Quando poi è rinvenito, appunto, hai chiamato aiuto esatto.
Ho chiamato aiuto, quindi metto giù il telefono e realizzo una cosa ma dove, diavolo, è il mio terzo amico, il primo che era partito? stavo per chiedertelo che fine ha fatto il terzo? non c’era più. Quindi inizio a guardarmi intorno, guardo dove più o meno l’avevo visto prima e non c’è più. E anche lì tipo mi è crollato il mondo. Ho detto ma vuoi vedere che mi sono inventato tutto, è stato un momento. Lì di è in realtà sto mio amico ancora sotto bella, questa cosa, non ce l’avevo mai pensato, effettivamente no, perché non lo vedi.
Cosa pensi, o è stato rapito dagli alieni, o si è volatilizzato, o me lo sono sognato. Poi sei in un momento di stress sì, certo, infatti pensavo a quello.
0:23:03 – Fabio
L’ipotesi è che magari la mente, in un momento di stress, chissà cosa può fare ti fa vedere le persone quindi panico, niente.
0:23:12 – Daniele
Insomma, marco, spengo quell’arva lì e mi rimetto alla ricerca di quest’altro. Qua quindi mi muovo, non aggancia niente. Inizio a scendere, non aggancia. Poi a un certo punto aggancia qualcosa, l’arva, inizio a seguirlo e poi niente. Poi mi muovo ancora un po’ niente, niente. Poi mi muovo ancora un po’, niente, niente, niente. Inizio a scendere, scendo, scendo. Ogni tanto ho agganciato qualcosa e poi lo seguivo e lo riperdevo, niente. Quindi sono stato su e giù, ho fatto c’ho la traccia del GPS del Garmin che stava registrando tutta la giornata. Poi me lo sono riguardata e ho fatto più di 100 metri di dislivello su e giù, lungo tutta l’estensione della valanga per cercare di agganciare qualcosa. Ma niente, niente, non agganciavo niente. Ogni tanto agganciavo qualcosa, ma poi lo perdeva.
Insomma, dopo tipo 20 minuti così a cercare, io ho detto io qua non so più che cacchio fare. E lì già ero detto è morto. Cioè è morto perché non tu sai. La mente dice bene, sì, è sicuramente sotto, tu non lo stai trovando e quindi probabilmente è larva che non funziona. Ah, sì, giusto, ovviamente all’inizio abbiamo fatto il cancelletto arva, quindi insomma ero sicuro che tutti avevamo l’arva accesa e funzionante. A quel punto gli ho detto è sotto, però non so come trovarlo. Quindi sono tornato dall’altro compagno che nel frattempo era lì in mezzo alla neve. Ricordo che era completamente sommerso, tranne la testa, quindi dovevo anche occuparmi di lui. Immaginate la condizione di sapere che un amico è morto perché fino a quel momento era morto, cioè da quel momento in poi era morto perché io non sapevo come tirarlo fuori. Erano già passati mezz’ora, era già passato tanto tempo. Quindi anche questa sensazione bruttissima di impotenza che non puoi fare niente perché se non lo agganci non puoi cosa scavi tutta la montagna da solo è impossibile.
Sì, cioè sondi, ma lì i sondaggi vanno fatti, i sondaggi del soccorso organizzato che richiedono lo spazio è una roba allucinante.
Quindi vabbè, insomma, per me era morto e niente. Quindi sono tornato su dall’altro compagno e ho iniziato il laborioso sforzo di tirarlo fuori, perché la testa era un metro e mezzo, ma le gambe erano un metro e ottanta sotto il metro e mezzo, quindi parliamo più di due, cioè quasi tre metri di profondità. Quindi niente, ho iniziato a scavare, proprio vista come era facile la neve. Non ho seguito il protocollo, sono andato devi scendere, cioè di quella distanza. Lì devi scendere della stessa distanza, in modo tale da arrivarci orizzontale.
0:25:58 – Fabio
Io ci sono andato proprio dall’altro diritto, per dritto, perché, insomma, Sì, sì, ma a quel punto, nel momento in cui hai liberato la testa, le vie aeree diventa tutto una cosa diversa, insomma, un meccanismo diverso diversa, insomma, un meccanismo diverso.
0:26:09 – Daniele
Quindi niente scavo, scavo, scavo, arrivo giù agli scarponi per realizzare che gli sci ovviamente erano perpendicolari al corpo e quindi, insomma, riesco a staccargli l’attacchino e quindi, insomma, per fortuna era libero. Però poi ho dovuto scavare ancora in orizzontale per liberare i due sci e tirarli fuori, perché non sapevo se ci sarebbero serviti ancora o no. Niente quindi disseppellito, perfetto. Devo richiamare i soccorsi per dire che non ho trovato quest’altro e che dove sono, che devono venire al più presto perché bisogna trovarlo. Tiro fuori il telefono, il telefono completamente morto perché, viste le temperature, telefono e telefono completamente morto perché, viste le temperature, viste i meno, l’orologio, il Garmin, quindi al polso mi dava la temperatura minima di circa meno 15, ma al polso immagino che la temperatura percepita, perché c’era anche tanto vento, sia stata sotto i meno 20, quindi, cellulare morto.
Mi dai il cellulare che chiamo col al sommerso, mi dai il cellulare che chiamo col tuo e mi fa eh no, il cellulare l’ho lasciato in macchina, ok, quindi non avevamo il cellulare. Al che ho detto eh, ho preso il cellulare e me lo sono messo nelle mutande per cercare di di scaldarlo. Quindi nel frattempo ci siamo riparati nel, diciamo, nel buco che avevo scavato, era diventato una truna. Alla fine almeno era riparato dal vento e c’era un pochino più caldo che non che non che non star fuori esatto niente. Quindi aspettiamo, a quel punto lì aspettavamo che arrivasse qualcuno. A un certo punto abbiamo sentito anche un elicottero, quindi l’elicottero però era tutto chiuso, quindi non ci avrebbe mai potuto vedere, il vento era anche molto forte.
Insomma, a un certo punto accendo il cellulare, boom, parte, va, mi arrivano un sacco di messaggi, di chiamate, non risposte, e niente. Poi, a un certo punto vedo una chiamata dal terzo e dico oddio, ma cos’è successo? Niente. Insomma. Quindi, a un certo punto riesco a adesso non mi ricordo se qualcuno mi ha chiamato o io ho richiamato il numero di questo mio amico, insomma, non mi ricordo esattamente. Questa è un po’ blur, insomma, fatto Stacca. A un certo punto sento la sua voce e niente, era vivo ed era coi soccorsi, diciamo su un altro monte che è il Baggioletto. Era vivo. Quindi, immaginati la felicità, insomma, e il sollievo di sapere che, insomma, era posto. Lui ha continuato a scendere, quindi, per raggiungere, per intercettare i soccorsi che stavano salendo. Lui è continuato, sì, è andato verso, è andato appunto verso il Baggioletto, verso questo monte.
0:28:58 – Fabio
Però non sapevo se, non credo, che avesse realizzato che, appunto, il secondo, era finito sotto la valanga adesso non voglio mancare rispetto a nessuno, ma spero perché, insomma, se no, lasciarti lì da solo a fare un altro soccorso.
0:29:11 – Daniele
Mi sembra un po’ una manovra.
0:29:14 – Fabio
Poi, per l’amore di Dio, ognuno nel panico, ognuno reagisce in maniera diversa. Quindi anche quello c’è da dire è difficile giudicare sempre le reazioni sotto stress, perché ognuno di noi reagisce in maniera diversa. Quindi magari uno va completamente nel pallone e se ragiona però così distinto, mi viene da pensare che la prima roba che farei sarebbe quella, appunto, di cercare di risalire. Però, come dici tu, magari lui non si era reso conto effettivamente della situazione.
0:29:37 – Daniele
Esatto, non ha capito. Magari ha visto me che gesticolavo, perché immagino che io non ho sentito quello che lui ha detto e immagino che anche lui non abbia sentito quello che ho detto, e quindi, sì, sicuramente non penso che abbia capito la gravità della situazione. Comunque, insomma, felicissimo che era vivo un sollievo che guarda non ti racconto. Poi, a un certo punto anche lì non mi ricordo se la stessa chiamata era un’altra riesco a rimettermi in contatto col 118, mi chiama il 118 e mi dicono che i soccorsi non riescono a arrivare. C’era tempo troppo brutto, a un certo punto, insomma, dopo quasi tre ore e mezza che eravamo lì, cioè non potevamo aspettare ulteriormente aspettare qualcun altro.
Dovevamo deciderci e muoverci. Quindi insomma, niente, questo mio amico, ovviamente lui era, ovviamente avevava secondo me un principio di ipotermia, ma soprattutto le mani le aveva completamente, le aveva le mani completamente congelate. Poi aveva anche dei guantini molto leggeri, insomma, praticamente non aveva l’uso delle mani, cioè non riusciva a fare niente con le mani. Piano, piano gli ho messo gli sci sullo zaino, gli ho montato i ramponi, gli ho dato la piccozza, anche se in realtà non riusciva a tenerla, al fine non serviva a niente. Io anch’io mi sono messo in modalità con i ramponi, proprio perché dovevamo risalire quella zona. Lì era una zona che avremmo dovuto fare, una zona un pochino più ghiacciata. Ho deciso di mettere i ramponi, entrambi, insomma, tenendolo per la maniglia dello zaino, perché c’erano delle raffiche di vento che davvero ti buttavano in terra e se lui fosse volato non si sarebbe mai fermato con la picca, perché appunto quelle maniglie erano due pezzi di ghiaccio, cioè non era in grado di fermarsi, fermarsi. Quindi niente. Insieme facciamo questo mega traversone su.
Ho visto che c’erano dei pendì un pochino più ghiacciati, probabilmente erano sopra vento, quindi erano stati spazzati via dal vento, almeno così non si sprofondava troppo a camminare, insomma, quindi c’era questo vento, veramente mi ricordo queste raffiche che ci sballottavano ovunque. Insomma, poi camminiamo per circa un’ora e venti, un’ora e mezza, per poi arrivare al Baggioletto, che è praticamente dove poi si rincontra la strada estiva. E c’è questa strada che poi è anche la strada che, diciamo, porta giù alla partenza. Insomma, arriviamo lì, camminiamo, camminiamo, sbucchiamo da questo crinaletto e insomma, in fondo vedo tutti i soccorsi che erano lì, tutti abbassati, bassi, bassi, un po’ riparati dal vento. A un certo punto vedo un insomma viene incontro un collega del soccorso che è anche guida alpina e anche tecnico di alì soccorso. Insomma, viene verso di noi, facciamo gli ultimi 300-400 metri insieme per poi arrivare a questo punto, qua dove poi c’era anche il gatto delle nevi e insomma c’erano poi tutti i soccorsi da lì in giù esatto.
0:32:39 – Fabio
Ok, sì, non ti ho interrotto perché è davvero un racconto piuttosto avvincente. Devo dire la verità, anche perché è facile immedesimarsi quando viene raccontato come il motivo per cui siamo qua, fondamentalmente, perché altrimenti davvero non ci si riesce a rendere conto a pieno di qual è l’emotività in quel momento, di quali sono le cose da fare in una situazione decisamente di stress. Come dicevo prima, mi è sorpreso l’idea che tu possa aver pensato addirittura di essere sognato. Il terzo quindi, ti fa capire appunto molto la situazione e, come come dalla tradizione di solito, arrivati a questo punto facciamo un po un riepilogo per cercare di tirare le somme delle cose che sono state fatte male o sbagliate, le scelte e le decisioni sbagliate, ma in questo caso anche delle cose positive. In parte le abbiamo già capite, ne abbiamo già parlato. Comincia tu secondo te, qual è stata la scelta sbagliata principale, le cose più importanti che non avete fatto correttamente.
0:33:44 – Daniele
Secondo me l’errore numero uno forse era che non bisognava partire quel giorno. L’errore numero uno forse era che non bisognava partire quel giorno. Detta come va detta, però insomma, questo è in montagna, forse uno non dovrebbe mai partire, perché alla fine i giorni di condizioni perfette sono pochi, però è anche vero che quel giorno le condizioni erano particolarmente brutte. Le condizioni erano particolarmente brutte. Devo dire che una cosa che non ho detto subito all’inizio avevamo guardato il meteo e il meteo dava tempo brutto fino circa alle 11, 11 e mezza e tutto. In realtà il meteo dava aperture sempre con tanto freddo, però si sarebbe aperto dal mezzogiorno e l’incidente è successo più o meno mezzogiorno, un quarto, qualcosa del genere del genere.
Quindi diciamo, l’errore numero uno era quello di non partire. Però diciamo, l’errore chiave, secondo me è questo è quello che veramente ha innescato la catena di eventi è stato quello di a voler scendere, voler sciare, voler scendere da questo canale, quando invece la cosa più giusta sarebbe stata mettersi i ramponi e fare la strada di salita. Al contrario, avevamo la traccia con l’orologio, con il GPS, quindi seguire i nostri passi e ritornare indietro, e lì non sarebbe successo niente. Quindi questo è stato secondo me il primo vero grande errore, cioè quello di voler sciare, ed è quello che noi scelpinisti vogliamo fare sempre, anche se la giornata è brutta. È cosa almeno due curve quello errore.
L’altro è il fatto che io avevo troppa confidenza in quella montagna. Io quella montagna l’avevo sciata, boh, 30 volte in più e quindi pensavo di conoscere. Ho detto ah, sì, sì, beh, il prassordo è giù di qua, ma in realtà è nelle condizioni di white out, perdiamo ogni riferimento e quindi quello che noi, proprio perché uno ha questa over confidence, cioè uno pensa di sapere dove sei, perché dici sì, l’ho fatta così tante volte che so che sicuramente è lì, in realtà abbiamo sbagliato, ma veramente tipo di 20 metri, eravamo 20 metri più avanti di dove pensavo fossimo. E quei 20 metri sono perché c’è praticamente questa linea di crinale che divide il canale buono dal canale cattivo e noi fondamentalmente siamo andati a finire proprio perché eravamo in una posizione diversa da quello che pensavo, siamo andati a finire nel canale cattivo.
0:36:32 – Fabio
Familiarità la prima trappola euristica. Nell’elenco è proprio la prima. Non so se è la scelta perché è proprio la più frequente, o cosa, ma fatto sta che ci siamo in pieno.
0:36:44 – Daniele
E infatti è proprio quello, quindi non mi è neanche venuto il dubbio. Guardo il GPS, guardo la mappa dell’orologio per vedere se effettivamente, o magari anche 10 metri dopo che eravamo entrati nel canale, guardare se effettivamente era quello giusto, perché proprio questa confidenza è quella che ci ha portato lì. Andiamo avanti perché non sono finiti, ce ne sono ancora tanti altri.
Secondo me di ore che abbiamo fatto. Non so se vi ricordate quando vi ho accennato del campanello d’allarme, quando ho capito che quella pendenza lì non mi tornava. Secondo me la mente umana tende sempre a cercare la strada di minor resistenza e in quel momento, qual’era la strada di minor resistenza. E in quel momento, qual era la strada di minor resistenza? continuare a scendere, perché invece quella a maggior resistenza sarebbe stata hai capito che non ti torna. Il pendio è molto più ripido di quello che ti aspetti. Probabilmente la cosa da fare è togliersi gli sci, camminare a piedi o mettersi i ramponi e risalire, quindi ritornare da dove sei partito e a quel punto rifare un assessment, o tornare giù a piedi, o sciare e cosa? Però? cosa dice la testa? La testa dice no, questa è una strada di più alta resistenza. Quella massima resistenza è, ma noere, che prima o poi arrivi nella strada giusta e invece no, perché più scendavamo e più ci andavamo a scavare la fossa, più ci siamo andati a scavare la fossa, perché poi, appunto dopo quando inizi a fare stipendi ripidi, 40 gradi, è ancora più difficile tornare indietro, è più difficile cambiare setup su un pendio ripido piuttosto che nella prima parte, che non era così più difficile e più rischioso, purtroppo
0:38:30 – Fabio
ci sono incidenti qui in zona recenti che dicono proprio questo farlo troppo tardi ti esponi ulteriormente al rischio, perché sei in una situazione spiacevole e rischiosa in montagna.
0:38:41 – Daniele
Bisogna sempre anticipare le mosse perché se lo fai troppo tardi è quando poi succede, appunto, succede il casino. Quindi diciamo, quello è stato l’ultimo buco in tutte le barriere di sicurezza che potevamo mettere in pratica, anche quello a fronte di quel campanello d’allarme che è stato completamente ignorato, è stato l’ultimo, diciamo l’ultimo muro di sicurezza che abbiamo sfondato e da lì in poi è stato solamente una. Insomma, eravamo l’esito della situazione. Era, era, era garantito. Poi magari non scaricava niente perché non c’era il pendio, non era instabile, però in quel caso il pendio era instabile perché era nevicato tanto aveva tirato vento e era una zona sopra vento un cambio di pendenza dove proprio?
0:39:26 – Fabio
il punto tipico dove, in queste condizioni, si distaccano, si creano, si distaccano esatto.
0:39:32 – Daniele
Ecco, quello è stato l’ultimo errore, l’ultimo grande errore che poi ci ha portato nell’incidente. Poi diciamo altri due errori minori Uno sicuramente, così come si fa il cancelletto ARVA, bisognerebbe fare il cancelletto cellulare, dove si controlla lo stato di carica di tutti i telefoni, di quelli del gruppo e anche il fatto che ci sia il cellulare. E poi, secondo me, l’altro errore è stato quella della gestione, diciamo del gruppo. Come dicevamo prima, è stato un evento traumatico per tutti il fatto che, appunto, una persona ha avuto la risposta che ha avuto magari tutti. Il fatto che una persona ha avuto la risposta che ha avuto, magari poteva essere evitato, magari non lo so cercando di andargli più vicino e dirgli di venire. Però questo avrebbe anche tolto poi tempo alla ricerca di una persona che sapevo essere rimasto sotto qui, se posso, allora mi introduco io.
0:40:25 – Fabio
Una delle cose che mi hanno segnato era proprio questa. Sono sempre ancora un po’ restio a dirlo perché mi sembra tanto, anche se detto a te fa un po’ ridere. Mi sembra tanto un’americanata. Però ho notato come, soprattutto negli ultimi anni, negli Stati Uniti, spingano molto l’uso delle radio ce l’ho anche io qua con mia moglie, proprio da americano ok perfetto, sono comodissime secondo me questo è un esempio lampante.
È vero che uno dice l’obiezione qual è? ma tanto uso il telefono, prima deve prendere e secondo, abbiamo appena visto che comunque richiede delle dinamiche diverse. Devi togliere i guanti, devi fare il numero, comunque non è immediato come mettere la mano sullo spallaccio, schiacciare un bottone e cacciare un urlo. E questo secondo me è una cosa che davvero da noi si vede pochissimo, quasi niente, forse qualcosa nelle guide, ma per il resto si vede veramente molto poco e, come ti dico, sono sempre ancora un po’ restio perché non voglio passare sempre per quello troppo esterofilo. Però sono convinto che dovrebbe diventare una buona abitudine, anche perché davvero i prezzi ormai sono diventati ridicoli, cioè non serve comprare radio da centinaia di euro come quello del soccorso, bastano radio da poche decine di euro che comunque funzionano chiaramente in un ambito limitato. Ma in questo caso sarebbero bastate assolutamente. Stiamo parlando di cosa? 100 metri in linea d’aria, forse?
0:41:41 – Daniele
sì, sì, proprio distante, semplicemente col vento.
0:41:45 – Fabio
Esatto, erano state sufficienti, perché tu e il tuo amico non vi siete assolutamente capiti quando bastava veramente, appunto, schiacciare un bottone sullo spallaccio e dare un urlo. Quindi questa era una cosa che mi ero segnato prima, perché mi sembra proprio uno dei casi emblematici di quanto una radio possa fare la differenza. È vero che è una roba in più da portare, bisogna controllare le batterie. Tutto quello che vuoi, però è comunque uno strumento in più.
0:42:07 – Daniele
Esatto, cioè alla fine, se ognuno di noi ha la propria radio, ci si mette sulla stessa frequenza e tutto il gruppo è sintonizzato sulla stessa frequenza, ma poi anche in condizioni di scarsa visibilità anche bene, stiamo sciando, siamo sul pendio giusto e tutto in situazioni di scarsa visibilità, e è fondamentale continuare a avere comunicazione per dire ok, sono arrivato, può partire il secondo esatto.
0:42:30 – Fabio
Infatti, anche la prima parte secondo me poteva essere un buon esempio. Indipendentemente dall’incidente, già il fatto di dover tagliare un pendio e arrivare in un punto che non vedi la radio è fondamentale.
0:42:39 – Daniele
Esatto, ti possono arrivare infatti lì abbiamo dovuto fare invece più col cronometro. Mi hanno detto più o meno dopo 10 secondi via parte l’altro davvero. La radio poi in Italia abbiamo adesso non so bene quanto funzioni, non so le statistiche, però c’è anche rete radio montana. Quindi sempre con le cose sono le PMR le PMR insomma ci sono dei canali anche che vabbè dipende anche molto quante gente c’è in copertura non lo so però insomma se uno le usa per altro, può averle anche nel caso di emergenza.
0:43:10 – Fabio
Se fosse da portarle via solo per la parte di emergenza, probabilmente sarei il primo a dire boh. Purtroppo al momento non è così diffuso da giustificare portarsi dietro tutta la giornata una radio. Però ci sono, intanto l’hai usata per altro.
0:43:28 – Daniele
Questo è importante e poi giù, mi sembra. A proposito di radio, noi abbiamo qui delle radio che qua in America vanno molto, che si chiamano Rocky Talkie. Sono estremamente rugged, quindi possono stare tranquillamente prendere l’acqua, la neve e tutto, e la cosa buona è che la batteria. È incredibile quanto duri hanno la batteria interna, quindi la si carica con l’USB-C. Quindi adesso non voglio fare pubblicità, però sono veramente dei prodotti pazzeschi. Si ricaricano l’USB e ma la ricaricheremo ogni 4-5 giorni di sci, dove tutto il giorno sta accesa e la usiamo anche per comunicare. Quindi non c’è neanche quella cosa da dire oh, devo comprare le pile. No, perché le batterie sono al litio e la carica oltretutto dura anche tanto tempo mi hanno informato perché fanno.
0:44:10 – Fabio
Sono da sempre praticamente lo sponsor del, del podcast che ha dato un po la stura a questo mio podcast che è the sharp end della di ashley, e lei da sempre, da quanto ricordo io, ha come sponsor proprio quelli di produttori di queste radio. Mi hanno anche informato del problema che in Italia non sono legali perché hanno una frequenza che non è tra quelle omologate e quindi, oltre al fatto che funzionerebbero solo a coppie, quindi non sono intercambiabili con, cioè, appunto, essendo un’altra frequenza, non solo sono illegali ma non sono neanche compatibili con quelle legali. Quindi, purtroppo, perché non hanno un costo neanche folle, mi pare ricordi aver visto, non costano cifre, si costano un po’ di più di quelle di quelle, poco più che giocattolo, che si trovano da noi, però, come dici tu, sono nate, sono state progettate apposta per quel tipo di attività là.
0:44:55 – Daniele
Quindi, effettivamente ho visto un po’ di video anch’io no, sono una posta da attaccarle sullo spallaccio già incluso, quindi non hai bisogno di mettere dei porta radio. Insomma, è proprio fatta.
0:45:10 – Fabio
Purtroppo non sono per noi, però mi fa piacere che appunto anche tu concordi su questo, su questo aspetto. Insomma, soprattutto era quella una cosa che mi interessava far capire che anche nel nostro piccolo con una Midland dec 80 euro si possono fare comunque 80 euro. Io ne ho una che sta comunque sullo spallaccio. Si ha vista anche lei nelle sue belle avventure e va ancora bene.
0:45:29 – Daniele
Va bene, non è bellissima, però funziona te ne dico un altro, perché, appunto, anche da alpinista, quante volte in via uno non riesce a comunicare al compagno perché non si sente. Ci tirano di quelle urlate, oppure ci sono tutti i comandi in codice. Si tira la corda tre volte sono arrivati in sosta quattro volte molla tutto, però poi non capisci se si è incastrata e sta cercando di sbloccarla o no?
ogni tanto, magari quando vai soprattutto con gente che da poco che arrampica, non si muove, quello sotto non parte, non va, non si muove niente, e stai lì dieci minuti, insomma, quando basterebbe una radio che insomma abbiamo fatto un po’ di pubblicità.
0:46:11 – Fabio
Vedremo se Midland decide di sponsorizzarci noi, visto che negli Stati Uniti loro sponsorizzano l’altro podcast. Ok, quindi eravamo rimasti su questa. Così era solo un dettaglio, anzi un dettaglio, un’informazione che secondo me è importante, che chiarisce anche alcune cose che sono successe, che potevano andare diversamente, insomma, quindi quello che abbiamo detto prima e sempre parlando scusami di dispositivi, a questo punto mi viene da adesso non è che appunto per far pubblicità.
0:46:37 – Daniele
Però e non dirò la marca, forse l’ho detta prima, ma chi se ne frega? il concetto è anche lì un’altra cosa che ci ha salvato, perché a quel punto lì avevo più o meno capito dove eravamo, ma non sapevo bene come tornare indietro. Quando ho capito che dovevamo tornare indietro con le nostre gambe, lì diciamo quello che anche lì ci ha tirato fuori e non so se saremmo usciti così diretti, in così poco tempo, dritti verso cartografia integrata, perché quello innanzitutto non dipende dal cellulare. Quindi il cellulare, anche se era morto, chi se ne frega? ha la sua batteria indipendente. Quindi secondo me è un’altra cosa molto importante avere dispositivi di navigazione e comunicazione esatto, ridondanti e indipendenti.
Bene, il cellulare puoi fare anche da navig, navigatore, puoi vedere le mappe ma avere un qualcosa di autonomo, con le sue batterie tenute in un posto caldo, che appunto ti permetta comunque di sapere dove sei e di uscirne. Noi nei scialpinisti abbiamo tanti, abbiamo la larva e qua e là però. Insomma, secondo me è importante che proprio come parte della sicurezza ci siano anche, cioè non il cellulare, ma un GPS dedicato, cartografico possibilmente.
0:47:51 – Fabio
Concordo al 100%. Avendolo da più di dieci anni, sì, sono perfettamente allineato.
0:47:57 – Daniele
Anche su questo sono contento bene, bene, insomma, vedi poi alla fine tra tra i scelpinistici.
0:48:04 – Fabio
si capisce poi dopo No certo è solo un’occasione appunto per dimostrare, se vogliamo nel piccolo, che le cose che magari nel passato abbiamo spiegato abbiamo dico perché, insomma, il ruolo mi pare di istruttore lo condividiamo abbiamo spiegato a chi si avvicina alla montagna con questo racconto facciamo capire che non sono solo gingilli tecnologici, fighi da farsi regalare, da sfoggiare, da tener carichi, ma da intanto saper usare, perché è una cosa fondamentale non solo averlo ma saperlo usare e che effettivamente ogni tanto purtroppo servono e quando servono fanno veramente la differenza.
0:48:39 – Daniele
Quindi non solo e proprio mi voglio ricollegare anche sul tuo saperli usare. Io sfido i nostri, chi ci sta ascoltando, a sapere come si fa a estrarre le coordinate GPS dal cellulare o dall’orologio per comunicarle al 118. Soprattutto in una situazione così di grande stress, uno deve saperlo, e non tutti lo. Anche io, quando e me lo è successo appunto tempo prima, quando un istruttore mi aveva detto una cosa simile, ha detto ma voi sapismo tirare fuori l’arva e farla ricercare il sondaggio e il disseppellimento. Così dovrebbe essere un automatismo anche sapere sui dispositivi che abbiamo a disposizione e tirare fuori le coordinate GPS da comunicare al servizio del 118 sì, perché se ci hai messo 10 minuti durante un’esercitazione, immagina sotto stress, il tempo lo raddoppia per fortuna, grazie a quell’esperienza lì, quando poi ho fatto la chiamata, anche prima di chiamare il 118 me l’ero preparata e quindi ce l’avevo lì pronta e glielo ho detto subito.
Poi siate pronti quando soprattutto se il telefono non prende tanto quando fate la chiamata di soccorso, avere già le informazioni pronte e una delle informazioni più importanti sono le coordinate. Adesso penso che abbiano un sistema anche per mandare un, però lì forse si ha bisogno di copertura internet no, con un sms funziona.
0:50:21 – Fabio
Non ho mai approfondito, mi pare che funzioni con un sms. Comunque, chiaramente, se noi li abbiamo li rediamo per primi. Funziona ancora meglio. Quindi vale sicuramente la pena imparare effettivamente a vendere dispositivi, a usarli al 100% beh, se sei d’accordo, direi le cose fatte bene un’ultima cosa sulle cose fatte.
Magari sulle cose possiamo approfondire lo dico male, male lo dico no, non male, perché davvero in quelle condizioni è un argomento molto difficile da valutare. Però si parla tanto di giro di sicurezza, cioè quando avete fatto questo taglio del canale, l’obiettivo qual è? di spostarsi da un’area sicura a un’altra area sicura per fare in modo che, in caso di distacco, vada sotto uno. Fondamentalmente Dal tuo racconto però abbiamo capito che anche tu sei partito insieme alla valanga. Quindi forse l’area di sicurezza che avevi scelto l’isola di sicurezza, comunque l’area di tranquillità dove dovevi stare tu, non lo era al 100%, perché se sei stato comunque coinvolto io capisco che, ripeto di nuovo, con la visibilità nulla dentro un canale, con quelle temperature e quel vento, non è così banale da fare. Però c’è da sottolineare che sei partito insieme al flusso della valanga principale non eri in una zona sicura.
Esatto quindi comunque sei stato coinvolto dalla valanga e quindi è venuta meno, diciamo, quella regola che voleva che due persone fossero comunque fuori pronte a intervenire per soccorrere il terzo, e questo sarebbe dovuto valere indipendentemente da chi era il terzo, da quello che è finito sotto. Questa era un’altra cosa che mi hanno segnato.
0:51:56 – Daniele
Grazie di aver catturato la cosa. Effettivamente non ci avevo mai pensato ed è un’analisi correttissima, proprio giusta vabbè dai.
0:52:05 – Fabio
Allora adesso tirati su e raccontami le cose giuste fatte. Bene, dopo questa reprimenda esatto.
0:52:13 – Daniele
Secondo me parliamo di cose fatte. Bene, allora, la prima è stata quella di prendere coscienza che eravamo nei casini, cioè quando a un certo punto ho capito che eravamo nel canale sbagliato, ho detto ok bene, siamo in modalità allarme rosso, dobbiamo mitigare questa condizione. E questo è quello, quindi quello che ha portato a creare la separazione tra di noi sia durante tutta la discesa quindi parlo di quella prima dell’attraversamento, che anche durante l’attraversamento e poi anche quella di mettere me come ultimo, cioè quindi mettere, diciamo, il più esperto nel soccorso perché, diciamo, gli altri due colleghi non erano soccorritori alpini. Insomma, noi avete fatto una scelta una scelta corretta.
0:53:04 – Fabio
Comunque una persona capita sempre che una persona più competente per n motivi, per titoli, per esperienza, per qualt’altro ci sia nel gruppo.
0:53:11 – Daniele
Quindi giustamente è bene che sia lui poi, se si è tutti allo stesso livello, cioè si è tutti freschi dall’SA1 e si è tutti esattamente con le stesse ore di esperienza, vabbè lì sì, sì, magari sì, però a quel punto subentrano magari altre gerarchie, legate ad altri aspetti, che vanno comunque altrettanto bene.
Quindi, vabbè, non andiamo troppo, troppo psicologica come cosa beh, poi sicuramente vabbè un’altra cosa che è banale il fatto di, cioè per me usare larva è stato un completo automatismo, cioè completo automatismo appena ho visto che è entrato sotto la valanga. Quando ho visto che è entrato sotto e io ho visto che era tutto a posto, mi sono liberato, mi sono rimesso gli sci. Proprio l’automatismo è stato tirare fuori larva, iniziare la ricerca, arrivare, sondare, cioè non ho mai pensato per un millisecondo cosa devo fare movimento muscolare, memoria muscolare, come si dice è proprio boom, vai lì, cerchi arrivi sul target, fai la croce, sondi.
Ma veramente, come ho detto prima, tre sondate ed ero su di lui, quindi vuol dire che anche la ricerca del metodo della croce, l’avevi fatta comunque bene esatto, ero proprio sopra.
0:54:23 – Fabio
Quindi anche lì si, come dicevamo prima, questo è sicuramente un’altra bandiera, se vogliamo, di quanto effettivamente le cose che predichiamo durante i corsi siano effettivamente fondamentali, cioè esercitarsi con l’autosoccorso è vitale. Quindi non è solo una cosa che facciamo perché bisogna farlo così, ma va rivisto continuamente, va provato, va provato inizio stagione, va provato se possibile anche durante la stagione con i gruppi con i quali si va via. Insomma, avete già sentito la storia, probabilmente, di cosa bisogna fare. Il problema è che bisogna veramente farlo, perché quando si fa vengono fuori le cose fatte bene all’interno di una situazione più spiacevole.
0:55:03 – Daniele
Però le cose fatte bene che stiamo elencando sono il risultato di addestramento, prove e procedure note e secondo me è un’altra grande scuola che appunto abbiamo fatto sempre col soccorso ma anche col CAI, e immagino tanti CAI lo facciano e anche tanti guidi lo facciano.
E quando si fa la ricerca anche il simulato. Il simulato deve essere fatto in condizioni verosimili, quindi non nel parcheggio piano, dove cammini bene, con la neve abbastanza compatta da non sprofondare, e soprattutto bisogna spingere la persona che sta facendo le esercitazioni in quel momento a correre, ad avere la fretta, cioè deve proprio pensare di avere un amico sotto, perché molte volte ho visto persone che fanno la ricerca ARVA abbastanza polleggiate, sono lì con calma. No, devi correre, cioè è una corsa, ti deve venire il fiatone quando fai la ricerca ARVA, perché bisogna essere veloci. So che molte scuole spingono, è però importante sempre ricordare che anche quando si esercita ma che magari uno si esercita dopo che ha fatto un corso di per sé, cioè con gli amici ma bisogna essere veloci, bisogna andare concordo, le ho dovute accortezze, ovviamente, di velocità giusta, nei momenti giusti, perché sappiamo, insomma, ci sono delle fasi diverse che richiedono movimenti e velocità diverse.
0:56:29 – Fabio
E quello che vorrei aggiungere su questo è che, effettivamente, secondo me, nella fase di addestramento ci sono due momenti, diciamo cioè il momento in cui uno deve capire veramente bene come fare le cose e quindi inevitabilmente la simulazione viene interrotta continuamente da un istruttore che corregge, che aggiunge, e quindi quello ci sta perché bisogna imparare in qualche modo. Però, superata questa fase, devono esserci delle fasi successive di prove, come dici tu, al 100% realistiche, cioè ci parte e si arriva in fondo, dopo, al limite, gli errori si correggono dopo ci si corregge si fa un debriefing, ci si corregge a vicenda uno con l’altro, però almeno un’esercitazione va fatta, completa dall’inizio alla fine, come fosse esattamente Esatto, cioè dove proprio vedi sprofondi che fai fatica.
Come ci fosse l’amico sotto. come hai detto tu giustamente, buono perfetto.
0:57:18 – Daniele
E basta, direi. E poi, secondo me, l’ultima cosa che Vabbè, quella penso che avrebbe fatto chiunque, però insomma sono contento che abbiamo fatto è quella, a un certo punto di visto che nessuno arrivava, quello di prendere e partire. Anche lì era la cosa del percorso a resistenza più alta, perché implicava mettersi ramponi. C’era un vento, un freddo assurdo, eravamo tutti e due stanchissimi. C’era un vento, un freddo assurdo, eravamo tutti e due stanchissimi. Il ragazzo che era finito sotto, appunto, aveva un principio di ipotermia e non poteva usare le mani, insomma, eravamo stanchi, eravamo quasi da più di 3 ore e mezza, 4 ore lì, in quella situazione, con le temperature che ho raccontato. Però, insomma, a un certo punto, quando e poi si stava facendo tardi perché erano già quasi le 4, parlavamo di febbraio, quindi comunque, insomma, le giornate non erano così lunghe e a un certo punto abbiamo detto vabbè, qua bisogna andare, perché poi dopo anche lì uno aspetta troppo, poi viene buio e c’è un altro problema ancora in più da gestire chiaro, per fortuna appunto nelle cose storte dell’incidente è andata bene, che appunto il tuo amico comunque è stato in grado di muoversi autonomo, quindi è uscito quella l’abbiamo fatto
0:58:35 – Fabio
veramente purtroppo una grande differenza. Almeno alcune cose sono andate anche bene dal punto di vista della fortuna, che ogni tanto aiuta gli audaci, come si diceva. Va bene, abbiamo, siamo arrivati lunghi, ma non sono assolutamente pentito, anzi sono veramente molto contento, visto che mi ero scritto veramente tre righe in tutto. Tiro fuori anche la terza cosa che mi ero scritto. Quando hai parlato del bastoncino che è finito sotto, hai giustamente detto io non uso i laccioli in discesa e quindi approfitto per ribadirlo è una cosa che anch’io non faccio. Non scio mai con i laccioli dentro, a maggior ragione in ambienti dove posso avere vago sospetto che ci possa essere una valanga. Non lo faccio nel bosco.
Un’altra cosa che ho visto come esperienza personale, che uno è rimasto incastrato in un ramo e gli ha tirato indietro la spalla. Gli ha tirato fuori la spalla praticamente quindi anche dove apparentemente il problema non c’è della valanga, cioè in mezzo a un bosco fitto non mettete i laccioli. E su questo volevo giusto raccontare un aneddoto che mi è rimasto impresso da un libro che ho letto di Bruce Tramper, che racconta che quando lui ha cominciato a fare il lavoro di previsore valanga, ecc. Negli Stati Uniti, il suo mentore di allora, quando è arrivato il primo giorno al lavoro. Si è presentato con questi bastoncini, con i laccioli, e il suo mentore li ha presi e ha tirato fuori un cutter e gli ha tagliati i laccioli, proprio letteralmente tagliati, e gli ha detto adesso vanno bene. E li ha tornati, così per ribadire appunto, quanto uno che si muova su neve o su terreno da valanga non dovrebbe neanche considerare il lacciolo anche in salita, quando si fanno i traversi.
1:00:08 – Daniele
Se uno scivola può usare il bastoncino come piccozza. Diciamo però se hai il lacciolo non riesci a far scorrere la mano lungo l’asta, e quindi usarla a punta, come un po’ come se fosse appunto la becca della picca c’era questa ultima cosa.
1:00:25 – Fabio
Insomma, ripeto, visto che non era cosa, tre cose mi sono segnato, tre cose volevo dirle dai, visto che tanto ormai tardi per tardi andiamo, va bene, così, benissimo. Grazie ancora davvero di aver partecipato, di avermi contattato, che così abbiamo creato un nuovo episodio perché, come dico sempre, gli episodi di questo podcast nascono solo se qualcuno mi chiama per raccontare la propria storia, perché io non posso mettermi lì a tavolino e inventarmi le storie. Quindi, davvero grazie. Anche grazie per aver trovato il sincronismo con gli orari, visto che comunque era un ulteriore aggravante, un ulteriore aspetto da considerare E basta. Ti saluto e ti ringrazio ancora.
1:01:04 – Daniele
Grazie a te, è stato un piacere.
1:01:06 – Fabio
A presto.