Quante volte abbiamo sentito la frase “in montagna bisogna saper rinunciare” da amici, istruttori e guide? E’ ovviamente un consiglio validissimo, ma che spesso manca di un esempio che ne rafforzi il concetto.
Una lacuna a cui poniamo rimedio con questo episodio con protagonista l’incidente accaduto ad Alessandro, durante un’uscita con l’amico Gabriele. Un’intervista a due voci molto onesta e dritta al punto: l’errore finale è ancora una volta solo l’ultimo anello di una serie di errori che sono costati ad Alessandro ben 23 giorni di ospedale.
Abbiamo parlato di “non sentirsela”, di comunicazione lacunosa e anche di radio PMR.
Rete Radio Montana
Il CANALE 8-16 è una frequenza radio di libero uso, utilizzata dagli aderenti alla Rete Radio Montana esclusivamente per scopi di sicurezza in montagna ( emergenza, rintracciabilità e prevenzione). Per comunicazioni interne allo stesso gruppo organizzato (tra aprifila e chiudifila) utilizza un altro canale (informati sulla funzione dual-watch, che permette di effettuare l’ascolto su due canali contemporaneamente).
Il termine “CANALE 8-16” è in realtà una denominazione interna all’iniziativa, che indica il canale 8 degli apparati radio rice-trasmittenti denominati PMR-446 (acronimo di Personal Mobile Radio – 446 MHz), sul quale va impostato il CTCSS 16. Indica pertanto un solo canale radio e non due canali differenti, come potrebbe sembrare. Per i più tecnici, il canale 8 corrisponde alla frequenza radio 446.09375 MHz e il CTCSS 16 corrisponde invece al tono subaudio 114.8 Hz. La modulazione è in FM-N (narrow).
È doveroso precisare che questa frequenza radio non è riservata alla RRM, né è di uso esclusivo per i suoi aderenti. L’8-16 è, di fatto, utilizzato per convenzione da chi spontaneamente aderisce alla RRM, o da chi ne condivide semplicemente le finalità. Contiamo quindi nel buonsenso di chi utilizza walkie-talkie PMR-446 per scopi diversi da quelli qui preposti (in famiglia, camierieri, magazzinieri, lavori stradali, etc. etc.), con la cortese richiesta di utilizzare un altro canale.
Trascrizione dell'episodio
0:00:00 – Fabio
Benvenuti a questo nuovo episodio della Dinamica. Gli ospiti di questa sera sono Gabriele e Alessandro, che mi hanno contattato per condividere con me e con voi il loro incidente. Quindi direi che andiamo subito al nocciolo dell’argomento e quindi, come sempre, farai presentare prima di tutto gli ospiti a loro stessi. Quindi, gabriele, se vuoi cominciare tu a raccontarci un po’ di te, Ciao Fabio.
0:00:28 – Gabriele
Allora io sono Gabriele Pellerino. Parlando della mia esperienza in montagna diciamo che ho iniziato abbastanza tardi, se si può dire, di sicuro non da bambino, ma intorno ai 20 anni, quando ho cominciato l’università. Io mi sono lavorato in scienze, turismo alpino, quindi una laurea molto attivante alla montagna, dove ho incontrato persone che istruttori, persone, ragazzi con cui ho cominciato a girare, a rampicare, andare in montagna. Ho provato un po’ di tutto sci, alpinismo, scavata su ghiaccio, rampicata, alpinismo, insomma tutto quello che si può fare in montagna. E dopodiché nel corso degli studi ho preso l’abilitazione per fare la guida escursionistica per la regione Pimonte e ho cominciato ad accompagnare in montagna.
Quindi qui la mia esperienza in montagna si è fatta un po’ più sostanziosa, più forte. Poi sono diventato guida cicloturistica. Anche ho fatto un corso di aree ampicata con il CAI, corso di scialpinismo col CAI, come alpinismo, per dire ho fatto anche Capanna Margherita, due volte, gran Paradiso, varie creste, e poi nel corso del mio lavoro ho scritto guide escursionistiche. Insomma, la mia partecipazione con la montagna è stata a tutto tondo, diciamo parallelamente ad altri lavori che faccio ancora oggi faccio l’attività da guida e scorso in stica, in montagna, compagno, gente, ed è qui che ho conosciuto alessandro quindi direi che passiamo la parola alessandro, profittiamo palla, alessandro, per raccontarci un po lui di nella sua esperienza ciao fabio e sono alessandro mancuso e quanto riguarda la mia esperienza di montagna, anche io inizio molto più tardi di Gabriele, circa 20 anni fa, come escursionista.
0:02:14 – Alessandro
Per circa dieci anni ho fatto soltanto escursionismo. Poi ho sentito l’esigenza di fare qualcosa di più, quindi ho iniziato a fare dei corsi di arrampicate, alpinismo al cai. Ne ho fatti quattro e in seguito ho fatto altri quattro corsi con una guida alpina, in particolar modo cascate di ghiaccio. Con questa esperienza che ho acquisito ho iniziato a passare le cime del Monte Rosa le cime che fanno un po’ tutti gli alpinisti alcune creste di roccia nel Piemonte, e sostanzialmente questo.
0:02:54 – Fabio
Come al solito, giusto per inquadrare un po’ l’esperienza pregressa, per giustificare il fatto che non stiamo, come sempre, parlando di incidenti, di persone, di principianti. Quindi il nostro focus in questo podcast è proprio quello di capire gli errori fatti da persone che comunque hanno già una certa esperienza. Quindi, parlando di incidenti, vi chiederei di entrare un po’ nel cuore dell’episodio e di raccontare cosa è successo, cosa vi è accaduto.
0:03:20 – Gabriele
Allora tutto è partito quando con Alessandro abbiamo deciso di fare qualche cosa insieme. Io era un periodo in cui questo secondo me è importante anche saperlo in cui lavoravo molto, lavoravo tutti i giorni molto e, avendo famiglia, avevo voglia proprio di uscire, di svagarmi, di fare qualcosa insieme a lui. Due giorni Allora abbiamo pensato di progettare una due giorni, un sabato e domenica, e andare a fare qualcosa di un po’ in alto, qualcosa di un po’ importante, non le solite camminate, e avevamo pensato di fare la punta Giordani, da rifugio sella, e Alessandro aveva già prenotato. Nonché poco tempo prima hanno cominciato a dare previsioni di vento molto forte E giusto per non rischiare, proprio perché noi non amiamo rischiare, abbiamo deciso di optare per un altro posto E abbiamo pensato a un luogo in cui ci potesse essere una difficoltà adatta a noi e che potesse essere una certa soddisfazione.
E visto che Alessandro da tanto mi parlava del canale dei Genovesi, che è una dei punti di percorrenza per arrivare sulla punta Margareis, ho detto perché non facciamo il canale dei Genovesi discendendo poi per il canale dei torinesi? era una d’ecita di quelle che volevi fare, ma la proponevi tanto che la volevi fare, facciamo quella. Siamo a giugno, c’è ancora tanta neve quest’anno in particolare c’era molta neve ancora e quindi era quel periodo in cui faceva ancora anche abbastanza freddo, quindi la neve si conservava abbastanza. Era un posto papabile. E abbiamo detto facciamo che andare lì.
L’ho proposto ad Alessandro, gli è andato bene e così ha organizzato giorno saremmo arrivati a Rifugio Garelli e il secondo avremmo fatto la salita fino a Punta Margheris e la discesa, e poi la discesa fino alle macchine no-transcript e procedere come in alta montagna, e quindi siamo saliti su. Abbiamo deciso anche di fare un giro piuttosto lungo rispetto a quello che era e avremmo potuto fare un po più breve, e quindi invece di salire direttamente a rifugio garelli dal pian delle gorre abbiamo preso un giro che è un po più largo e che quindi ci ha fatto diciamo che ci ha affaticato un po di di più. Siamo saliti fino su con uno zaino pesante. Questo lo dico perché secondo noi poi il giorno dopo ha avuto degli effetti. Ci siamo stancati parecchio il giorno prima e poi siamo arrivati al rifugio nel pomeriggio, nel primo pomeriggio, e lì finalmente ci siamo riposati bevendo una birra.
0:07:05 – Fabio
Intervengo un attimo. Allora, quindi, per capire questo che ci state raccontando è un incidente avvenuto durante un piano B, chiamiamolo così, cioè l’idea iniziale era un’altra, poi le condizioni meteo non concordavano e quindi avete ripiegato su una seconda scelta, giusto?
0:07:23 – Gabriele
Esatto, questo qua è un piano B, ci siamo preparati già da casa, cioè è il piano B da già da quando sai esatto che la gita sai già che quella lì non la puoi fare, non arrivi sul posto per cambiare meta. Quindi abbiamo cambiato completamente. Dalla Valle d’Aosta siamo passati nel Cuneese, posto completamente diverso, in alcune esercizi completamente diversi.
0:07:43 – Fabio
Alessandro, vuoi continuare il tuo racconto magari da qui?
0:07:47 – Alessandro
Sì, come raccontava Gabriele, prima abbiamo fatto questa escursione molto faticosa con zani pesanti. Il mio GPS segnava 1300 metri di dislivello. Arrivati al rifugio, birra di rito, un po’ di riposo, poi cena e ho letto presto. Io quella notte lì non sono riuscito a dormire, perché nel rifugio faccio sempre la fatica a dormire. Inoltre c’era una persona che teneva un cellulare acceso, leggeva qualcosa al cellulare e la luce mi infastidiva anche. Occhi chiusi. Sveglia presto, ero a 4, quindi mi alzo perché ero molto stanco. La decicolazione alle 5 siamo partiti e in meno di un’ora siamo arrivati sotto al canale, nel conoide di deiezione. Io mi ricordo che mi fermo, guardo questo canale e penso e la neve dov’è? il canale di deiezione era completamente coperto di neve, devo dire neve bruttina, vecchia. E invece il canale, la parte centrale, la grande parte dell’estensione centrale del canale era completamente scoperta. C’erano due strisce di neve io chiamerei strisce di neve sui bordi del canale, sui due lati del canale, a destra e a sinistra, larghe circa, credo, non oltre 3-4 metri, destra e a sinistra larghe circa, credo, non oltre 3-4 metri.
Io ho chiamato in rifugio il Vrdi perché dalle condizioni e mi era stato detto, condizione ancora valide sono un po’ aperto. Al centro manca un po’ di neve al centro. Però oggi è salito un ragazzo che è andato su senza ramponi. Allora ho pensato se questo qui è andato su senza ramponi, la neve è vecchia, ma le condizioni devono essere ancora valide. E allora andiamo. E invece, a mio modo di vedere, le condizioni non erano così valide. Comunque, calzati i ramponi, iniziamo a salire su con oide ed ero lento. Ero lento perché la stanchezza del giorno prima, anche la stanchezza di non aver dormito si sentiva tutta, la stanchezza del giorno prima ma anche la stanchezza di non aver dormito si sentiva tutta.
Infatti i miei due amici, gabriele e Riccardo, che erano con me, erano abbastanza più in forza e più veloci e hanno capito abbastanza presto che ero stanco. Probabilmente hanno capito subito che ero stanco. Infatti a volte si fermavano, mi guardavano con un armo perplesso del tipo oggi cos’hai? davano un comare un po’ perplesso del tipo oggi cos’hai quello che avevo, che ero stanco. Però non l’ho comunicato, non l’ho detto. Ho detto proseguo così. A un certo punto penso, guardo questa neve e penso però questa neve non mi piace per niente. E ci rifletto un po’ sopra non mi piace per niente, non mi per niente.
Mi fermo, pianto la piccozza nella neve e dico ai miei due amici ragazzi una frase, un’espressione del tipo ragazzi, la neve non tiene niente, sfilando la piccozza come fosse piantata nell’acqua. I miei amici mi guardano un po’ perplessi, come per dire cosa vuole dire? e proseguiamo, continuiamo a salire, usciti dal superato, con oride di edizione. Inizia questa zona del canale dove c’era questa striscia di neve. Noi siamo seduti sul lato destro questa striscia di neve, larga circa 4 metri, e dove ci incamminiamo c’erano molte rocce che affioravano, perché comunque lo spessore della neve era abbastanza ridotto, quindi tante rocce affioravano lì fuori dalla neve.
Altre pietre, anche di non piccole dimensioni, erano lì sopra della neve, quindi pietre che prima erano cadute dal canale durante la stagione. Facciamo una salita in questa striscia di neve senza incontrare grandi difficoltà. La ramponetta ne avrò bene. Appoggiavamo la piccozza per equilibrio, ma non ce n’era grande bisogno e Gabriele, immagino, capisce che aveva già capito che l’ammendatura non era proprio quella del solito per via della stanchezza.
Quindi anche lui si attarda con me, tanto che iniziamo anche a chiacchierare un po’ anche di questioni personali, familiari, come due buoni vecchi amici. E arrivati circa a metà canale, direi circa a metà canale, sento proprio la stanchezza, la sento proprio in maniera corposa. Allora mi fermo. Mi fermo un attimo, mi riposo un attimo. L’ho pensato senza dirlo a Gabriele, tanto mi vede che mi fermo, è davanti a me di tre metri.
Allora prendo la piccozza, la pianto nella neve, con un po’ di fatica, perché la neve ce n’era poca, spingo, spingo, riesce a stare su questa piccozza, però era una piccozza piantata lì che non serviva praticamente a nulla. Pausate, mi chiedo se stanco, non ho fatto in tempo a dirlo e sento letteralmente mancarmi il terreno sotto i piedi. Allora, distinto, guardo verso il basso e vedo le due punte dei ramponi affondare nella neve e subito sotto, nel terriccio, la gaietta a sferoidali da 2 mm, 3 mm e cado in avanti, distinto, mi giro sul lato destro e inizio a scivolare. E all’inizio non mi sono neanche reso conto di cosa stesse succedendo. Ma mi ha sorpreso questa cosa e ho pensato adesso mi fermo. E invece no, non mi sono fermato, ho iniziato a prendere una certa velocità, perché il pendio, lì, quel canale, lì lo danno per i 35-40°. Noi eravamo tutto sul lato destro e sul lato destro il canale piega proprio a destra. A stima sembrava anche qualcosa di più di 40 gradi, come c’eravamo detti io e Gabriele quando stavamo salendo.
Comunque parto scivolando con una buona velocità che aumenta sempre di più. Allora realizzo, mi sveglio un attimo, scivolando con una buona velocità che aumenta sempre di più. Allora realizzo mi sveglio un attimo dal mio stato di sorpresa quello che sta succedendo e realizzo che devo fare qualcosa, che non mi sarei fermato da sola. Vedo la piccozza che saltellava. Ce l’avevo legato in un brago con un cordino e allora lui sta che saltellava su una roccia. Allora allungo il braccio sinistro per provare a prendere questa piccozza, piantarla nel terreno e farmi armi, ma non ci arrivo. Il cordino era lungo, allora la piccozza si muoveva e neanche la piccozza raffiorava. E allora ho detto boh, facciamo cos’altro?
nel frattempo che scivolavo ho colpito col volto una pietra e allora mi sono messo sulla schiena e poi voltato sul fianco sinistro, sempre nel tentativo di fare un qualcosa per fermarmi. Probabilmente, scivolando, in questa fase acquisivo sempre più velocità. Mi sembrava di andare giù con un missile e probabilmente nel momento in cui mi sono voltato sul fianco sinistro, devo essere finito. Devo aver superato una zona dove c’era un piccolo osso, perché mi sono sentito sollevare e poi sono ratterrato, ma sono ratterrato col costato su una pietra. Ho sentito praticamente la pietra entrare nel costato e lì ho capito ho rotto le costole, quindi mi giro sulla schiena, zaino dietro mi ha fatto la grande protezione, guardo in avanti senza sempre nel tentativo disperato di riuscire a fermarmi, e vedo che stavo puntando verso una roccia abbastanza grande, posizionata in verticale. Sarà stata lunga 3, 4 metri, larga, un metro alta, mezzo metro, a stima, colpa d’occhio. La vedo e realizzo che sto per piantarmi lì e ho pensato mi ricordo perfettamente che ho pensato se mi pianto lì sono morto.
Arrivo in prossimità alla roccia e gli passo a mezzo metro. Ed era a mezzo metro perché l’ho vista così vicina che per un istante ho pensato allungo un braccio e provo a grapparmi la roccia in qualche modo, perché era un tentativo disperato, non ci sarei mai riuscito. Uno perché la roccia probabilmente era abbastanza liscia. Due, perché ero velocissimo, quindi non ci sarei mai riuscito. Però era un’idea assorta in questo momento, in effetti.
Poi tento di muovere il braccio sinistro, ma tempo di muoverlo avevo già superato tutta la roccia. Allora realizzo che non potevo fare niente. Ho detto non ce la faccio, non riesco a fermarmi, sono morto. Ho un attimo di arrabbiatura perché ho riflettuto. Ho detto ma devo morire proprio qui e oggi? e a quel punto ho detto boh, non riesco a fermarmi, non faccio più nulla. Ho rinunciato, non faccio più nulla.
Mi sono sedato sulla schiena ed ero convinto di arrivare a fondo canale morto, a pezzi. Il canale era ancora lungo. Invece, durante la scivolata nella parte finale del mio scivolato questo correttore stimerà la scivolata lunga circa 100 metri nella parte finale del mio scivolato. Questo correttore stimerà la scivolata lunga circa 100 metri nella parte finale sono uscito dalla parte innevata e sono finito sulla parte scoperta da neve, sulla ghiaietta esteroidale e arrivando in una zona di 18 lati, delle pietre grandi, 10 cm circa, tra i 10 e i 15 cm, che mi hanno rallentato e mi sono fermato, mi sono stupito di essermi fermato. Allora, appena fermato, mi metto seduto.
Il pendio era ripido, stavo per ripartire, ho puntato i ramponi, mi sono fermato da riflettere, come dire col cervello vuoto, perché mi è successa questa cosa qui. Ho iniziato a sanguinare il volto e non ho fatto altro. Ho detto tanto a Gabriele che mi ha visto che sono volato, adesso scende e mi raggiunge tempo che era brutto il canale da scendere. Ci ha messo qualche minuto a scendere. È arrivato, l’ho guardato e gli ho detto ho rotto le costole e lui mi dice ma no, magari sono solo incrinato. No, no, le rotte, chiama il soccorso. E quindi poi lui ha chiamato il soccorso, che è arrivato, credo 20 minuti, stimerei 20 minuti, però a me sono sembrate tre ore, non sembrava, non rasse più. Sono stati veloci, bravi e veloci, ma a me sembrava che il tempo non passasse più, anche perché nell’attesa poi mi ho volto in seta sanguinare, ho colorato una pietra di rosa, quindi non sapevo se si fermavano queste immoralgi o meno. E’ andato l’elicottero, poi ho dato il suo corritore, il medico. Mi hanno imbarellato in quattro e caricato sull’elicottero, portato poi all’ospedale CTO di Torino.
0:18:36 – Fabio
Sì, una parte di racconto, intanto sicuramente soggettiva, molto interessante, però mi interessa anche sapere il punto di vista di Gabriele. Quindi, visto dall’esterno questo incidente, questa scivolata, quali sono state le tue?
0:18:45 – Gabriele
impressioni sul momento. Allora, premesso che io non avessi fatto il volo che ha fatto lui, non ricorderei niente. Penso che avrei la mente offuscata fino all’arrivo del tuo corso, perché Alessandro ricorda molto bene ogni cosa che gli è successa con le frazioni di secondo. Io stavo salendo, come diceva lui. Avevo notato che era un po’ più lento, però dicevo ma sì, magari un po’ stan lento. Però dicevo ma sì, magari è un po’ stanco, però sale solo un po’ più lento, prende un po’ più di fiato. Arriveremo su in cima, come diceva lui Riccardo. Era più avanti a noi un’altra signora che era con noi e io ero in mezzo, ero poco più avanti di Alessandro. A un certo punto io stavo salendo molto bene e avevo nonostante la salita ripida, ero abbastanza in forma, quindi salivo e non volevo allontanarmi troppo da Alessandro. Meno male che non l’ho fatto, perché nel momento in cui io mi sono rigirato dopo avergli parlato, sento un rumore di spuggita. Mi giro e vedo che lui comincia a scivolare. E vedo che scivola, scivola e mi dico tra me e me dico si fermerà adesso, si ferma, adesso si ferma a me e permetto che non mi era mai successo un incidente, di vedere un incidente così in montagna. Quindi per me era la prima volta, è stata la prima volta, spero l’ultima, e ha cominciato a scivolare e dentro di me dicevo no, ma adesso si ferma. Pensavo quasi sembra brutto però che scherzasse. No, a scivolare, così si scivoli, come i bambini. Quando scivolano un po’ poi si fermano, si rialzano, si girano, è tutto a posto. E invece no, lui ha continuato a scivolare, a scivolare. A un certo punto ha cominciato a rotolare, a rimbalzare e gli ho cominciato veramente a preoccuparmi. Ha detto quando si ferma, quando si ferma e intanto guardavo in alto, guardavo in giù, vedevo se Riccardo guardava noi, se ne era accorto o se me ne era accorto solo io Vedo che lui scivola, si ribalta e a un certo punto, per fortuna, si ferma. Però, nel momento in cui si ferma, vedo che sta a pancia giù e non si muove. E allora comincio a gridare Ale, dobbiamo scendere, ale, dobbiamo scendere. Vedo che non mi risponde e lì comincia un po’ la preoccupazione, perché nella peggiore dell’ipotesi speravo fosse svenuto. Guardo in alto Riccardo lui non aveva visto niente perché era a poco dietro una curva, perché lì a un certo punto il canale piega verso destra, e non aveva visto nulla. E io gli ho detto subito scendi giù, scendi che Alessandro si è fatto male.
A quel punto io ho cominciato a scendere piano, come dice Alessandro, perché scendere con quel tipo di neve, lì che scendi sulle pietre o che scendi sulla neve, il rischio è uguale. Quindi ho cominciato a scendere sulla neve, ma molto lentamente, a fianco delle pietre, in modo che se per caso fossi scivolato sulla neve, mi sarei buttato sulle pietre, dove pensavo sarebbe stato più facile frenare, frenare, e lì insomma li friggi un po, perché alessandro stava giù, non mi rispondeva e c’era ancora riccardo su altro particolare. Riccardo ha detto di scendere e un certo punto anche lui è scivolato. E lì ho detto no, qua sta degenerando la situazione, perché scivolato anche lui ha perso la piccozza, è scivolato per qualche metro stimo 6-7 metri più o meno massimo 10 e per fortuna si è fermato sulle pietre. E da lì allora ho detto calmiamoci un attimo.
Dovevo scendere e arrivare ad Alessandro. Quella era la priorità. Guardo Alessandro, vedo che per fortuna si gira, si alza seduto, si mette seduto, si gira. Ho detto almeno è vivo. E ho continuato a chiedere Ale, dobbiamo scendere?
Volevo forse rassicurare più me stesso che non, perché veramente mi facessi quella domanda. E lui sento che dice chiama il soccorso. E allora lì ho capito che si era fatto veramente male. La prima cosa che ho fatto prima di chiamare il soccorso, in realtà quel cellulare ho guardato io porto sempre dietro la radio e ho provato a vedere se qualcuno mi sa col canale 8, 16 che un canale di rete radio montana dove ci sono persone in ascolto, potrebbero esserci persone in ascolto in zona per vedere, se il cellulare non avesse preso, almeno la radio sarebbe potuta essere utile per chiamare i soccorsi.
E così, riccardo, visto che si era rialzato, mi ha chiesto ma la piccozza, cosa faccio? la devo recuperare. Con quelle condizioni lì io mi sono sentito dire sì, torna su e recuperala, perché sennò la discesa qua diventa critica. E così guardavo anche un po’ Riccardo, che non succedesse niente, mentre scendevo ad Alessandro. Quindi avevo due situazioni un po’ critiche da gestire E così sono sceso giù.
Quando sono arrivato ad Alessandro ho constatato che in effetti il soccorso era da chiamare. Lui, come ha detto, diceva di averle, costole, rotte. Io, per sdrammatizzare, dicevo magari ce le hai solo incrinate. Lo pensavo veramente. Io dentro di me non volevo pensare che fosse veramente seriamente danneggiato. Aveva male alla spalla, diceva che anche il naso gli faceva male, aveva il sangue in faccia, e quindi ho provato a chiamare con il mio telefono.
Ho fatto subito il 112 perché vedevo che il telefono non prendeva. Ma avendo avuto una formazione come accompagnatore naturalistico, dove c’è anche la parte di soccorso, sapevo abbastanza come gestire, anche se non l’avevo mai fatto. Ma sapevo come gestire e poi io ho fatto anche. Sono stato anche soccorritore nella Croce Rossa, quindi sull’ambulanza sapevo bene o male come funziona la centrale, tutte queste cose.
Quindi ho fatto il 112, per fortuna si è attaccato un’altra rete, ha preso e mi hanno passato la centrale. Mi ha subito chiesto se si poteva arrivare in macchina. Ha detto no, qua arrivo a piedi con l’elicottero. Siamo nel canale del Margareis, il canale dei genovesi. Mi hanno passato il soccorso alpino a cui ho spiegato tutto il soccorso. Deve aver parlato anche con il rifugio Garelli, che ci ha visto, ha confermato che eravamo partiti e ci vedevano col binocolo e quindi abbiamo aspettato Anch’io stimo una ventina di minuti, 2025 minuti per l’arrivo dell’elicottero che prima si è fermato al rifugio, ha scaricato del materiale, il medico e poi è venuto su da noi calando il tecnico. Intanto io ero vicino ad Alessandro, lo riparavo dal vento dell’elicottero, gli ho pulito un po’ la faccia dal sangue, lo rassicuravamo, io e Riccardo un po’ per quello che potevamo fare, cercavamo di sdramatizzare e di buttarlo un po’ sullo spiritoso, anche se lui non aveva molta voglia di ridere.
Comprensibilmente no-transcript ad altri particolari. La forza delle eliche hanno buttato giù i nostri zaini, che sono volati non sulle pietre, ma sono andati sul nevaio e sono arrivati. Il mio è arrivato fino in fondo, non lo trovavo neanche più. E meno male che diciamo tra tutto l’incidente è capitato molto presto, perché eravamo lì verso le 7 e se fosse successo dopo si sarebbe alzata la nebbia e allora l’elicottero non avrebbe fatto in tempo ad arrivare a venire, non sarebbe riuscito a salire perché la nebbia si è alzata nelle ore dopo. E quindi diciamo che da una parte c’è andata anche bene per quello, beh sì, non è una cosa casuale, direi.
0:26:53 – Fabio
la scelta dei tempi e tutto si fanno. anche per quello Non vi ho chiesto una cosa però all’inizio, giusto così inquadriamo la data di questo incidente 16 giugno 2024. Quindi, ale, io tornerei da te, visto che abbiamo detto appunto 16 giugno, 2024. Quindi, ale, io tornerei da te, visto che abbiamo detto appunto 16 giugno. Sono curioso anche un po’ di capire il proseguio della parte fisica. Diciamo quindi ti abbiamo lasciato in elicottero in direzione Torino e poi, più o meno qual è stata la diagnosi e la prognosi soprattutto, e la prognosi.
0:27:26 – Alessandro
Soprattutto, sì, caricato l’elicottero, ho portato il CTO di Torino. Mi hanno fatto una serie di esami, tanti esami, devo dire. Quindi la diagnosi è stata abbastanza impegnativa sette costole rotte, una contusione polmonare, una scapola rotta, struttura nasale, distrazione cervicale, due denti rotti e alcune ferite al volto che hanno necessitato di sutura. E ho fatto 23 giorni in ospedale, di cui 8 in terapia intensiva. E il punto d’attenzione è stato il polmone, perché ho preso una gran botta, una contusione polmonare. Quindi ho comportato la terapia intensiva, quindi maschera respiratoria, drenaggio toracico, tante flebo e soprattutto, tanto, tanto dolore, nonostante gli antidorifici, tanto dolore.
0:28:14 – Fabio
Sì, immaginavo, perché gli esiti magari sul momento si sottovalutano un po’ e questo è anche un aspetto sempre da ricordare che sul momento tra l’adrenalina e quant’altro si tende un po’ a valutare magari in maniera meno grave quello che poi effettivamente è. E questo va tenuto conto anche nel decidere di continuare eventualmente a muoversi, spostarsi e quant’altro. Soprattutto, come avete giustamente fatto voi, chiamare i soccorsi in quelle condizioni lì è comunque sempre la scelta migliore, quella meno rischiosa in termini di conseguenze poi a lungo termine magari. Il racconto mi pare molto completo e dettagliato e adesso, come al solito su questo podcast, è il momento di capire un po cosa. Cosa è andato storto. Quindi, al di là della scivolata che come sempre è l’evento finale che ha poi causato tutto, magari, ripensando un po’ al giorno precedente o alla giornata stessa, quali sono secondo voi le scelte che hanno poi portato a questo incidente?
0:29:24 – Gabriele
Allora quello che, riflettendo, e riflettendoci insieme anche ad Alessandro, le cose che penso ci abbiano un po’ portato a questa conclusione, quelle che reputo possano essere trappoleuristiche una, che io sono accompagnatore e quindi sono abituato ad accompagnare gli altri e organizzare io e mi preoccupo per tutto quello che potrebbe succedere, quindi dall’ideazione dell’itinerario ai possibili punti critici, qualsiasi cosa netto o avverso. E invece questa volta ho organizzato Alessandro e io purtroppo non ho contribuito, diciamo tanto a parte l’idea, a valutare l’itinerario. Io sapevo dove andavamo, ma non mi sono molto preoccupato di capire quali potessero essere le condizioni e è quello sicuramente, magari una voce in più nell’organizzazione magari sarebbe potuto servire. Poi, questa è una, secondo me è stata una grande trappola perché l’ambiente mi sembrava sicuro, perché c’erano queste pietre. Io sono abituato a pensare che se ci sono le pietre, estivo, quindi abbastanza sicuro. Se c’è la neve invernale bisogna stare più attenti, ramponi, piccozza.
Quindi ho visto le pietre e dicevo ma sì, se ci sono le pietre di fianco, come dicevo quando sono cominciato a scendere per raggiungere Alessandro, è più sicuro. Quindi sto vicino alle pietre e se cado, le pietre comunque a un certo punto ti frenano, diciamo. Poi sapevo che il rifugista aveva detto che c’erano le condizioni, che questa persona era salita addirittura senza ramponi. Ho detto detto, caspita, se uno sale senza ramponi dal canale dei genovesi, vuol dire che è fattibilissimo. E poi ovviamente non abbiamo comunicato.
0:31:33 – Fabio
Cioè io vedevo, lui stanco, ma non mi sono preoccup avessi chiesto se, se la spieghiamo, non abbiamo, non abbiamo un esempio sotto mano che spieghi veramente quanto importante sia la capacità di rinunciare. E secondo me questo, questo episodio, tra tutte le cose che giustamente hai già sottolineato, a me fa, come dire, fa risaltare di più l’errore. L’errore non lo chiamerei proprio tanto un errore quanto un esempio, appunto, della dell’importanza, a volte, di dire ok, oggi non è giornata, non me la sento per n motivi, e torno indietro a questo. Aggiungiamo il fatto che all’interno di un gruppo questa mancanza di sicurezza andrebbe comunque comunicata, confidando poi che le persone che sono con noi la accettino e decidano di assecondarla, quindi per rinunciare effettivamente, e che non invece spingano magari a continuare. Comunque, alessandro, tu come la vedi questa cosa?
0:32:49 – Alessandro
Sì, sono d’accordo con quanto hai detto e sono d’accordo anche con chi dice che a volte gli incidenti partono da lontano, anche dai giorni precedenti. Infatti, il mio incidente è iniziato, se vuoi, il giorno precedente con una scelta di itinerario faticoso e con un disivello corposo per i zaini molto pesanti che avevamo. Io avevo tante attrezzature. Porto sempre molta attrezzatura, più di quella che serve perché mi fa sentire più tranquillo. Io avevo persino tre piccozze, una da ghiacciaio e due da cascate di ghiaccio. Ho detto hai visto mai ci fossero condizioni valide? uso le piccozze da cascata e non era così. Quindi il mio zaino era molto pesante, mi ha staccato tanto e il giorno dopo la mia stanchezza è stata determinante, direi ha giocato un ruolo importante nell’incendio che è accaduto. Questo è stato sicuramente un errore che è partito il giorno prima. Anziché fare magari il sentiero diretto che ci portiamo a rifugio e rifarmiare l’energia per il giorno dopo, ho fatto una scelta diversa, riflettendoci anch’io, come diceva prima Gabriele, un altro errore che certamente ho commesso, e che ho ammesso da subito, è non aver comunicato la volontà di tornare indietro.
Io volevo tornare indietro. Quando ho visto le condizioni e la neve in quello stato, ho detto no, qui non va bene, io tornerò indietro. Pensavo tra me e me e l’ho pensato più volte tornerò indietro, però mi spiaceva comunicare questa cosa ai miei compagni. Avevamo organizzato il weekend a marzo e quindi non me la sono sentita o, se vuoi, non ho avuto il coraggio di comunicare la mia, poi vediamo cosa dicono. Però è stata una modalità comunicativa insufficiente e pertanto abbiamo proseguito. A un certo punto, quando eravamo con noi di reazione, ho pensato ricordo bene aver pensato adesso gli dico che torno indietro io da solo, così non li faccio tornare indietro loro due. Però anche questa decisione mi spiaceva, li lasciavo da solo, io torno indietro. E se gli dicevo che tornavo indietro, magari tornavo indietro anche loro due per non lasciarmi da solo e io avrei rovinato la salita la domenica. Che cosa è comunque che è successo allo stesso? l’ho rovinata allo stesso.
0:35:34 – Fabio
Allora l’ho rovinata, sì, chiaro vabbè sì, è una visione, un modo di vedere le cose dai esatto. No, mi piace molto quello che quello che hai detto sono cioè mi viene da dire, condivido, ma nel senso che, ovviamente, non essendo lì non posso condividere la tua sensazione. Ma quello che mi piace è il messaggio che hai fatto passare. È una cosa che è importantissima, sicuramente, e, come dicevo prima, è importante che ci sia un esempio di cosa può accadere quando non facciamo una cosa che sembra talmente banale come quello di dire ok, non è giornata, torno indietro, ok, c’è.
0:36:12 – Alessandro
Fabio, se posso ancora aggiungere un’ultima riflessione.
0:36:16 – Fabio
Certamente certamente.
0:36:18 – Alessandro
Questo mi viene da dire, soprattutto magari per il bavolo alpinista esperto che ascolterà poi magari questo podcast e penserà questo qui si è quasi ucciso perché ha poca esperienza, che quello che è successo ne è può succedere a chiunque. Io non ho fatto un errore tecnico dovuto a mancanza di esperienza. Non credo aver fatto un errore tecnico dovuto a mancanza di esperienza, ma ho fatto un errore di natura diversa, cioè quello di non comunicare ai miei compagni che non me la sentivo di salire, che non erano le condizioni di salire, che le condizioni della neve non erano buone, a mio modo di vedere non erano adatte. Però bisogna anche considerare che arrivare sotto una parete, sotto un canale, ai piedi di un ghiacciaio e dire ragazzi, abbiamo spersato, torniamo indietro, non è sempre facile da fare, però quando è il caso di farlo va fatto beh, non posso che essere concorde al 110%.
0:37:14 – Fabio
Gabriele, vuoi dirci qualcosa per chiudere?
0:37:18 – Gabriele
da aggiungere Io ho pensato varie volte che cos’è che avremmo potuto fare, a parte quello che dice Alessandro, cioè non continuare, che cosa avremmo potuto fare per evitare che succedesse questo? e mi sono venute in mente varie cose da parlare di più, appunto quello che dicevamo prima delle nostre sensazioni, parlare della comunicazione, quello che diciamo. Poi c’è chi ogni tanto lo racconta e mi dice ma non eravate legati? no, perché in questi contesti non ci si lega, anzi, guida Alpine ci hanno detto a esse stesse che se ci fossimo legati a questo forse non lo raccontavamo, eravamo finiti giù tutti e tre. Al limite si poteva mettere delle assicurazioni sulle rocamente. Ci siamo stancati il giorno prima. Quindi avremmo dovuto dosare, quello sì, avremmo dovuto dosare di più le nostre energie.
0:38:22 – Fabio
Sì, di nuovo, non essendo lì non posso dire che concordo, nel senso che è una cosa che mi dici tu. Però sicuramente è importante anche questo aspetto da valutare, quindi la scelta della destinazione della gita in funzione delle proprie capacità tecniche e anche fisiche. Quindi mi è piaciuta molto la parte di cui parlavi prima relativa alla radio, l’uso della radio. Vuoi darmi velocemente, in due minuti, un approfondimento un po’ su questa cosa, come funziona e dove possiamo trovare un po’ di informazioni in più?
0:38:59 – Gabriele
allora il canale 816 è un canale che si può trovare sulle radio con i toni sottotoni ed è un progetto che si trova anche navigando su internet, di rete radio Montana ed è un modo per unire gli alpinisti, gli escursionisti, chiunque va a frequentare la montagna e nel sensibilizzare le persone a portarsi dietro un apparecchio radio. Di queste radio, le pm normali, niente di professionale, sono delle radio linee che possono prendere il segnale anche abbastanza distante e sintonizzandosi su questo canale, su questo canale 816, ci si può parlare in caso di emergenza e quindi ci si può anche registrare su questo sito, quindi per contarsi, per vedere quante persone ci sono in Piemonte, in Liguria, valle d’Aosta. È un progetto nazionale e io l’ho scoperto così navigando in rete qualche anno fa e allora da lì mi porto sempre dietro questo apparecchio, sia quando faccio le gite dove accompagno ne porto due, sia che potrebbero servire a me e chi sta in fondo al gruppo oppure professionalmente nel momento in cui bisogna chiamare per fortuna non mi è mai successo chiamare il soccorso e il telefono non prende veramente, cioè anche facendo il numero di emergenza 112 non prende assolutamente rete. Allora sfrutti la radio.
Ma la radio ha anche un’altra valenza, non solo il canale 816, perché, se ci pensiamo bene quando andiamo in montagna, d’inverno i maestri di sci, le stazioni, diciamo delle seggiovie, comunicano con la radio. Quindi se io sono in un posto dove non non prende comunque la radio, arriva a qualcuno, a qualcuno a cui poter chiedere soccorso. Quello è il mio intento. E poi un’altra cosa che utilizzo da quando ho ascoltato il tuo podcast su GeoRescue, che prima non conoscevo, non lo conoscevo bene, sapevo dell’esistenza. Adesso mi sono scaricato anche GeoRescue perché ho capito come funziona e lo tengo attivo quando vado in montagna perfetto.
0:41:18 – Fabio
Bene, sono contento che quell’episodio sia servito. Sarà contento anche Alessandro, che ci ha dedicato un po’ di tempo per spiegarci come funzionava. Quindi ottimo. Beh, io credo che non ci sia altro se non vi viene in mente qualcosa da aggiungere. Io veramente vi ringrazio per avermi contattato e per aver condiviso così apertamente sia il trauma, se vogliamo, dell’incidente, che gli errori. È un episodio veramente molto intenso e spero che sia apprezzato da chi ascolta. Quindi, davvero ancora grazie e vi saluto intanto grazie a te, grazie a te a presto.