#16

I friends si vedono nel
momento del bisogno

Il 3 luglio 2022 Giovanni Montagnani ed il suo compagno di cordata Lorenzo “Boz” restano coinvolti in un incidenti mentre scalano lo scudo del Mittelruck.
Un incidente i cui effetti segneranno per sempre la vita di Giovanni, ma che poteva tramutarsi in una tragedia. La differenza l’ha fatta un friend giallo, posizionato strategicamente poco prima del volo.

Lorenzo ci racconta in dettaglio le azioni di autosoccorso poste in essere per poter soccorrere, quanto più possibile in sicurezza, il suo sfortunato compagno e sono una dimostrazione di competenza e lucidità, pur in un momento così stressante.

Dei mesi successivi a quell’incidente e della nuova fase della propria vita Giovanni ha scritto su un libro che può essere acquistato qui.

Capitoli dell'episodio

(0:00:01) – Avventure Alpinistiche in Val Di Melo (13 Minutes)

Questo capitolo ci porta a conoscere Giovanni Montagnani e Lorenzo, due amici e appassionati di montagna che hanno trasformato le loro esperienze agonistiche nella canoa kayak in un’avventura condivisa tra sci alpinismo e arrampicata. Giovanni racconta il suo percorso dall’escursionismo all’arrampicata, passando per una fase di paura superata grazie a un amico, mentre Lorenzo descrive il loro stile scialpinistico innovativo e impegnativo. Insieme, hanno affrontato sfide come le cime della Val Formazza e salite come la via Cassin e la waiting list alla Punta Fiorelli. Nonostante i rischi, la loro passione per la montagna li ha sempre spinti a superare i propri limiti, vivendo esperienze indimenticabili e trovando il loro equilibrio tra avventura e sicurezza.

(0:12:52) – Caduta in Parete Senza Sosta (5 Minutes)

Questo capitolo esplora un’esperienza di arrampicata intensa e carica di emozioni. Descriviamo una situazione in cui, nonostante l’apparente sicurezza e l’euforia iniziale, le circostanze cambiano improvvisamente. Ci troviamo su una placca in cui la ricerca di fessure per inserire i friend diventa essenziale per la sicurezza. Raccontiamo come, dopo un tratto relativamente tranquillo, un volo imprevisto mette alla prova i nervi e le capacità dell’assicuratore. Ripercorriamo i momenti concitati della caduta, il tentativo di rimanere aggrappati e la sensazione di irrealtà quando le corde si tendono e il climber passa davanti agli occhi del compagno di cordata, ruzzolando verso il basso. Concludiamo riflettendo sull’importanza delle protezioni e della prontezza mentale in situazioni di rischio.

(0:17:59) – Sosta Cruciale in Parete (19 Minutes)

Questo capitolo esplora una situazione di emergenza durante un’ascensione in montagna. Racconto di come mi sono accorto che eravamo appesi solo a un friend e la necessità di creare una sosta sicura con chiodi, nonostante non avessi mai piantato un chiodo prima. Sottolineo l’importanza di avere sempre un martello e chiodi come misura di emergenza. Descrivo anche il tentativo di contattare il 112 nonostante la mancanza di campo telefonico e come alla fine siamo riusciti a fare la chiamata di emergenza. Infine, condivido la difficoltà di comunicare la nostra posizione precisa all’elicottero di soccorso a causa delle mie condizioni fisiche.

(0:37:05) – Esperienza Alpinistica E Sicurezza in Parete (14 Minutes)

Questo capitolo esplora la questione della sicurezza durante le salite in montagna, con particolare attenzione alle tecniche di progressione e protezione. Discutiamo dell’importanza di mantenere un ritmo veloce per ridurre i rischi legati a temporali improvvisi o cadute di sassi, anche se ciò comporta una minore protezione durante l’arrampicata. Condivido esperienze personali, come la salita sulla via Cassin, dove abbiamo proceduto in conserva per gran parte del percorso, e rifletto su incidenti passati che mettono in luce i compromessi necessari tra velocità e sicurezza. Infine, evidenzio l’importanza di trovare un equilibrio tra protezione e rapidità per minimizzare i pericoli in alta montagna.

(0:51:14) – Racconto Emozionante Di Recupero Fisico (2 Minutes)

Questo capitolo esplora l’esperienza di Giovanni Montagnani nel recupero da un grave trauma spinale. Discutiamo delle limitazioni fisiche imposte dall’incidente e del ruolo cruciale dei medici e fisioterapisti nel suo percorso di guarigione. Giovanni condivide la sua determinazione e l’uso ottimale delle risorse a sua disposizione, pur sottolineando che non tutte le situazioni sono uguali e che la volontà personale non può sempre superare certi limiti fisici. La storia di Giovanni serve come ispirazione per chi si trova in situazioni simili, ricordando però che ogni caso è unico. 

Trascrizione dell'episodio

0:00:01 – Fabio
Allora, ospiti di questo episodio sono Giovanni e Lorenzo, e quindi lascio la parola a voi ragazzi, come al solito, per fare una breve introduzione di voi, della vostra storia, della vostra esperienza in montagna e anche del come siete arrivati a legarvi insieme, visto che parliamo di un incidente di arrampicata in cui eravate legati insieme, appunto in cui eravate legati insieme, appunto.

0:00:27 – Giovanni
Ciao, fabio, io sono Giovanni Montagnani. Ho fatto tanta esperienza in montagna, soprattutto con gli sci. Poi mi sono avvicinato all’arrampicata. Una volta che mi ero un po’ spaventato, su una cresta, durante una scialpinistica, un amico mi ha detto ti faccio vedere come si arrampica. E sono rimasto folgorato da quel mondo. E quindi all’arrampicata, allo sci e alla corsa ho aggiunto anche questa cosa dell’arrampicata. Però, non essendo in grado di allenarmi con continuità, alla fine sono stato costretto a transire all’alpinismo e quindi ho iniziato a fare alpinismo, soprattutto sul granito, dove il fatto che non mi tenessi di braccia era un problema ancora inferiore, e quindi abbiamo iniziato a fare tutte le grandi curriculum di granito delle Alpi Centrali. Ho ripreso a frequentare quando che ero un compagno di sport, quando eravamo ragazzini che è Lorenzo, magari si presenta anche lui adesso.

0:02:08 – Lorenzo “Boz”
Certo ciao Fabio, io sono Lorenzo. Appunto, come diceva Giovanni, deriviamo entrambi da, diciamo così, una carriera agonistica nella canoa kayak, conclusa la fase agonistica. Insomma, in quella fase lì mi sono appassionato particolarmente alla montagna, che già frequentavo prima, e diciamo uniamo poi in un’escalation dall’escursionismo all’arrampicata, anche nello scialpinismo e in altre discipline.

0:03:11 – Giovanni
Ci eravamo inventati uno stile scialpinistico secondo me interessante, che era quindi con assetto da agonisti, ma su lunghe distanze, in ambiente, quindi gite molto lunghe, anche 6-8 ripellate, svariate migliaia di metri di dislivello per gita. Abbiamo fatto una bella stagione, così era 2020-2021, durante l’ultima bella, l’unica stagione decente degli ultimi anni purtroppo davvero nevoso degli ultimi anni e abbiamo fatto delle tipo in un giorno abbiamo fatto tutte le cime della Val Formazza. Poi, no no, con sci sotto il piede, piccoli, leggeri cambi d’assetto, veloci, però uno stile particolare che dava soddisfazione.

Anche lì ci sarebbe da dire tanto, perché se stai sugli sci magari 15 ore di neve, ne vedi un po’ di tutti i tipi e quindi poi non è che puoi proprio sapere ogni pendio quindi vivi un po’ al momento, però lì è sempre andato bene è un approccio che non mi appartiene per motivi fisici, però lo capisco.

0:04:35 – Fabio
È sicuramente apprezzabile. Ognuno trova il suo equilibrio nell’ambito dei margini di sicurezza che si dà ovviamente, dopodiché la montagna è lì e ognuno l’affronta come ritiene meglio.

0:04:46 – Giovanni
Quindi siete passati dallo sci alpinismo a una fase più di arrampicata, poi la stagione successiva gli ultimi due anni, per forza dovevi fare arrampicata e quindi abbiamo fatto delle belle salite la Cassin, poi, poco prima dell’incidentein, poi poco prima dell’incidente, un mese prima dell’incidente, abbiamo fatto una di quelle vie dove lì non ci sarebbe stato un racconto dell’incidente perché i primi 60 metri sono improteggibili. E questa waiting list, alla Punta Fiorelli, che è stata una via che io ambivo da tempo, e con Lorenzo abbiamo fatto una bella salita perché, nonostante il rischio intrinseco di una via come quella, ci siamo divertiti, non ci siamo mai preoccupati, l’abbiamo scalata le difficoltà erano comunque alla nostra portata.

0:05:43 – Lorenzo “Boz”
Lo stile d’arrampicata ci piaceva e si confaceva alle nostre capacità, appunto perché un po quello che ci accomunava nel nell’arrampicata entrambi non siamo scalatori eccelsi, con una particolare tenenza, però ci piace terreno d’avventura e la stabilità, comeilità, come dire anche di esperienti, se vogliamo, ci troviamo bene a metterle in pratica su quel tipo di terreno, magari non eccessivamente difficile, però ingaggioso perfetto.

0:06:18 – Fabio
Sì, sì, sembra un po’ la storia di tante cordate di successo, tutto sommato, alla fine poi, sia quelle famose che anche che anche no, mi ci metto dentro, insomma, poi ognuno, ognuno becca il suo momento giusto nella storia, nella vita, per fare queste cose. Poi, quando si trova il compagno ideale, comincia, si comincia a crescere insieme, a portare avanti belle cose insieme. Sono questi un po i modi migliori per crescere, per affrontare la montagna. Va bene, quindi direi che a questo punto ho fatto questa premessa, verrei al giorno dell’incidente, che è di luglio del 2022, mi pare. Chi mi conferma?

sì ok e niente. Vi chiederei di fare un po’ un breve riassunto delle fasi iniziali della giornata.

0:07:03 – Lorenzo “Boz”
Diciamo come è cominciata e come siete arrivati, un po’ sotto l’attacco della via e e da lì poi vediamo il racconto vero e proprio dell’incidente, della salita dell’incidente allora sì, la salita in questione si sarebbe svolta forse su quella che è ritenuta un po’ la, se non la prima, comunque una delle due o tre pareti più più rappresentative dell’area dell’Ossola. Ok, in questo caso era dove scusami.

0:07:31 – Giovanni
Bisogna far presente che di roccia bellissima non ce n’è tantissimo.

0:07:37 – Lorenzo “Boz”
Esatto, siamo in Val di Melo, siamo in Svizzera centrale, abbiamo il nostro Gneis. Appunto, la parete in questione è la parete sud-est del pizzo di Loranco, il Mitterruck. Per me ha un significato particolare, perché una cima che dalla casa dei miei genitori si vede proprio bene, distintamente all’orizzonte di rilievo. E diciamo che da quando ho iniziato a scalare e soprattutto a fare, insomma, salite, già di un certo impegno, di un certo ingaggio, quello ha rappresentato un po’ un traguardo, comunque un bello obiettivo. Niente, come detto, col Gio ci trovavamo bene, abbiamo fatto già diverse salite, è capitata l’occasione, ne parlavamo già anche l’anno prima. Quel giorno lì abbiamo deciso eravamo tutti liberi, le previsioni erano belle, stabili, il meteo buono, eravamo in forma e quindi, appunto, nonostante il Gio ha sempre prediletto una roccia più pulita, più salda, più monolitica, però insomma non ha disdegnato comunque la proposta, l’obiettivo era ambizioso e comunque l’ha portata e quindi si è deciso. Si è deciso per gestire la salita in giornata, comunque, nonostante sia la parete che l’avvicinamento generalmente vengono affrontate in due giorni però noi a gamba si è sempre andati molto bene.

0:09:05 – Giovanni
Anche le cime, quelle del Masino, e le salite del Masino che si fanno appoggiandosi ai rifugi, le abbiamo sempre fatte partendo da giù in giornata, anche perché io ho famiglia. Quindi chiedere un giorno di jolly alla moglie è una cosa, chiederne due è sempre impegnativo. Quindi bisogna far sfruttare bene il tempo a disposizione e anche quello, devo dire, è una cosa che col senno di poi si può sempre riconsiderare, perché dire faccio la sfacchinata un giorno e rischio, oppure sto via due giorni, me la godo di più e evito un possibile disastro. Anche quello è un pensiero che mi è venuto dopo, perché di tempo per pensare ce n’è stato e quindi niente col giorno lì siamo partiti molto presto per fare questa tirata. Io mi sono presentato cos’era?

0:10:05 – Lorenzo “Boz”
le due di notte, le due di mattina si, e avendo dormito pochissimo, arriviamo al parcheggio alle tre e mezza quattro neanche iniziamo a salire di buon passo e in circa tre ore così era più o meno- sì, mi ricordo che il tempo di fare uno spuntino legarci, forse abbiamo iniziato a scalare, che erano le sette di mattina e insomma, comunque ampiamente nella tabella di marcia che c’eravamo più o meno immaginati, per riuscire a concludere tutto entrosera via e quindi abbiamo iniziato a salire, sempre tenendo questa cosa del rientro lungo.

0:10:50 – Giovanni
Perché ci vuole il suo tempo, cerchiamo di darci una mossa, non non perdiamo tempo. E quindi abbiamo salito questa prima parte di zoccolo, che io mi aspettavo anche peggiore come qualità della sì, sì, sì, c’era stato raccontato un po con come se fosse veramente marcio e invece, a parte un po di sabbiolino, erano tutte placolate, magari framezzate un po da chi da qualche c’è in getta, da qualche deposito di pietre instabile.

0:11:29 – Lorenzo “Boz”
Però appunto le difficoltà erano molto gestibili. Procedendo a tiri perché stava facendo tiriri e non eravamo neanche in conserva si riusciva a salire discretamente di che grado stiamo parlando, più o meno?

0:11:41 – Giovanni
beh, passi massimo di quinto.

0:11:43 – Lorenzo “Boz”
Sì, esatto, forse qualche singolo di quinto grado, dove la roccia era un po’ più solida, un po’ più verticale.

0:11:51 – Giovanni
Se no, per il resto, dal secondo al quarto, diciamo e poi gli ultimi due tiri, proprio per arrivare alla fine dello zoccolo, li facciamo in conserva, perché comunque facevamo singoli tiri, ma lunghi, e c’era un gran tiraggio delle corde, anche se non è che proprio ci proteggeissimo tantissimo. Ma sai, non avendo una via delineata da chiodi o altro, andavamo un po’ a sensazione quindi magari vai un filo a destra, ti proteggi, ti allunghi bene, però comunque poi vai a sinistra e le corde magari girano dietro da qualche parte, quindi comunque avevi dei tiraggi importanti. E quindi recupero un po’ a spalla Boaz su una cengia e guardiamo l’attacco della via vera e propria che era appena sopra e gli faccio vabbè dai, vado io. E gli faccio vabbè dai, vado io. E quindi lui era in questa cegia dove non c’era uno spazio vero e proprio, che so due fessure dove mettere due friend era una zona abbastanza appoggiata.

0:13:03 – Lorenzo “Boz”
Ti si ripeteva appoggiare una sedia. Secondo me, volendo, si stava benissimo comodi in piedi. Ti c’erano delle roccette davanti, però hai capito una fessura buona da infilarci anche solo un buon friend, uno se ne sentiva il bisogno e due, appunto, eravamo tranquilli. A un tiro dall’attacco vero e proprio, sembrava quasi una formalità arrivare su all’attacco della parete, tant’è che, appunto, il gioco, che aveva fatto già il tiro prima, aveva praticamente quasi tutto il materiale addosso e ha deciso di proseguire, lui, ancora per quei 40 metri, quelli che erano per attaccare.

0:13:41 – Giovanni
Sì, anche perché tutti i metri prima erano venuti abbastanza lisci. Sì, esatto, c’era, come dire, un po’ di euforia, no Del dire ah, questo zocc, zoccolo, anzi, l’avevo proprio, l’avevano detto, non me lo aspettavo peggio, perché ci hanno detto queste corna di sto posto. Invece, guarda, comunque, riprendo ad arrampicare, faccio una decina di metri verso l’alto, mi rimane in mano il primo vero pietrone che mi è rimasto in mano e proprio tirando via il pietrone, dentro c’era un buco perfetto, largo per un due pollici preciso. Prendo questo giallo dall’imbrago, lo metto dentro, lo allungo bene perché dico poi qui si sa mai di dover zigzagare? ci passo dentro le due corde e mi rimetto a salire di qua. Ci stavano due, quasi scherzando.

Come dire cosa serve questo due qua? sovrappensiero di pensare a una discussione che ho avuto una settimana prima e ho questa immagine di io che comincio a attraversare verso sinistra, un vago ricordo di una placchetta su cui dovevo fare un passaggio, di quelli, come dire adesso sto attento e poi buon, la sensazione dei piedi che slittano tutte e due e le mani che non hanno niente in mano. Allora, non era la primissima volta che mi succedeva di fare un volo in placca. Volo in placca, istintivamente provi a rimanere aggrappato a qualsiasi cosa e vabbè, non sono rimasto aggrappato a niente.

0:15:30 – Lorenzo “Boz”
Boaz mi ha visto passare, magari puoi dirlo, te esatto il racconto della parte dell’assicuratore quasi assicuratore, perché nel momento in cui Joe ha perso la presa o comunque ha iniziato a ruzzolare giù, io non lo vedevo. Aveva svoltato dietro, diciamo un vago spigolo. Quindi io gli davo corda, vedevo dove aveva messo la protezione, però lui non lo vedevo, e ho sentito un versaccio. Non avevo capito se fosse un comando, piuttosto che poi ho visto le corde che venivano indietro si flettevano e un secondo dopo l’ho visto, proprio capito, umbolare di fronte a me perché appunto, essendo un poltiero in traverso, proprio mi è passato una decina di metri alla mia altezza, era già sotto sopra che ruzzolava giù e si infilava in una sorta di canale più in basso rispetto a me. Le corde si tendono, io sul momento non ho neanche pensato alla protezione unica che c’era in mezzo, che io non fossi il sosta e quant’altro. Ci ho fatto fatica anche un po’ a rendermi conto. Non mi sembrava quasi reale la scena nel primo momento.

0:16:38 – Fabio
Questo è l’istante della caduta in sé quindi, per ricapitolare intanto tu non avevi in quel momento nessuna sosta, cioè l’unica protezione io non avevo nessuna sosta a cui si è rimasto appesi. E quel famoso friend. 2 ce l’ho appeso in casa immagino stiamo parlando, che ovviamente siamo alla fine dello zoccolo, quindi più o meno quanti metri dall’attacco?

0:17:07 – Lorenzo “Boz”
avevamo fatto 3 tiri buoni da 60, sì, ma però calcolando un po’ lo sviluppo sì, un 150 non finiva bene no, no, assolutamente ok.

0:17:21 – Fabio
E a questo punto, lorenzo, cosa ti è capitato, anzi, qual è stata la tua reazione?

0:17:28 – Lorenzo “Boz”
allora, adesso, esattamente nell’ordine, credo che la prima reazione è stata invocare il Joe, chiamarlo in qualche modo gridando come un matto, e forse già nel mentre avevo tirato fuori il telefono. Fortunatamente ce l’avevo in tasca perché insomma avevo capito che comunque fosse era grave. Poi, appunto, lui non mi ha risposto per un paio di minuti perché evidentemente aveva perso conoscenza. La prima cosa distinto è stata quella ok, è finito sotto di me. Avrei avuto fuori una trentina, 35 metri di corde, no, era più che un 2 e mezzo da 60, quindi insomma, ne avevo per calarmi sul secchio e andare da lui. Però, appunto, dopo quei primi istanti mi sono reso conto che effettivamente eravamo appesi solo a un friend, non appeso io, però lui era, lo stava caricando. E allora lì la fortuna chiamiamola così vuole che Gioveva tutto il materiale, ma il martello e i chiodi ce li avevo io all’imbrago.

0:18:27 – Fabio
Quindi, ne avevate uno in due avevamo un martello in due?

0:18:30 – Giovanni
Sì, ma io non ho mai cioè ho aperto delle vie, ma non ho mai battuto un chiodo in vita mia.

0:18:35 – Lorenzo “Boz”
Quindi era una cosa proprio che il martello non poi in una progressione, non in apertura, non Sì, l’avevamo preso più come emergenza che altro e per un tiro poi che ci sarebbe aspettato durante la via, che è un tiro da zerare però a chiodi. Insomma, l’avevo io e appunto ho avvertito il bisogno di fare una sosta perché mi sono reso conto che eravamo su un flan solo e se quello saltava arrivavamo in fondo. Mi ricordo aver bloccato le corde nel secchio, un’asola contro asola, e ho cercato un paio di crepe buone, seppur, come dicevo prima, il terreno non è che si confaceva tanto a una sosta.

Però insomma, due crepettine le ho trovate e alla veloce ho piantato questi due chiodi, uno buono, l’altro un po’ meno un po’ meno niente, continuando nel mentre a gridare al gioco che dopo una certa ho iniziato a rispondermi e nel frattempo ho riuscito a appoggiare anche il telefono e a fare il 112, che comunque non avevo campo io e quindi non riuscivo a contattarlo scusi, ti interrompo, però hai fatto comunque il numero, hai provato comunque il numero si si, l’ho provato diverse volte, cioè nel fatto che riuscivo a tenerlo appoggiato al telefono.

0:19:52 – Fabio
Ho bloccato le corde nel secchio, con le mani libere per mettere i chiodi era solo per ribadire una cosa che diciamo sempre, che male non fa ribadirlo che le chiamate di emergenza devono essere fatte passare da tutte le compagnie. Quindi, anche se il telefono non segnala campo per il proprio operatore, è comunque buona norma provare a fare il 112 o il 118 per chi ha ancora quello perché comunque se siamo sotto copertura di un altro operatore, il nostro telefono non lo segnala, ma l’operatore ci fa passare la telefonata. Quindi era giusto che te l’ho chiesto per ribadire questa cosa che secondo me è utile far sempre presente.

0:20:25 – Lorenzo “Boz”
Insomma, di non arrendersi solo perché il telefono dice che non c’è campo sì, sì, insomma, quello l’avrò ricomposto tra quattro volte, almeno nel mentre che procedevano le cose. Quindi, niente, due chiodi, una fettuccia sosta fissa, già ribaltata verso l’alto, nel senso delle corde, al vertice, una ghiera doppio barcaiolo sui due capi che salivano, e così ho potuto sciogliere l’asola controllata dal secchio e poi potermi calare dal gioco, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza e ha iniziato a lamentarsi non so se me l’hai chiesto tu, l’ho detto io di provare a contattare tu il 112, visto che io non riuscivo a mettermi in contatto. Se riuscivi a prendere il telefono, di chiamarlo anche te. E io gli ho chiesto il numero del. Ha chiesto il numero dell’emergenza?

0:21:15 – Fabio
sì, sì, esatto, non fa giusto.

0:21:18 – Giovanni
Io non so veramente come ho fatto a fare, perché io mi ero sfondato la faccia, cioè io non vedevo, vedevo da mezzo occhio praticamente no-transcript di dover dire molto precisamente dove dove eravamo, perché anche quello poi dall’elicottero a noi ci sembra ovvio di essere dove siamo, però dall’elicottero non è assolutamente facile capirlo e spesso ci sono degli intermediari che non conoscono la zona dove avviene l’incidente. Quindi specificare bene dove si è permette un recupero più efficace e di successo. Tant’è che hanno fatto salire nel paese sotto, hanno fatto salire un soccorritore bravissimo, che conosce molto bene la zona e quindi è riuscito a guidare il soccorso al meglio dall’elicottero. È un posto abbastanza remoto, quindi se è stato lì sarebbe passato un’oretta no meno, secondo me, dalla chiamata dici no, secondo me più mezz’ora.

0:23:01 – Lorenzo “Boz”
Ok, a me è sembrato un paio di ore il tempo si altera, non ho guardato l’orologio, però secondo me non era più di mezz’ora in questa mezz’ora, tu, lorenzo, cosa hai fatto?

0:23:13 – Fabio
perché, appunto, ti abbiamo lasciato che avevi fatto la sosta?

0:23:16 – Lorenzo “Boz”
esatto, io avevo fatto la sosta e fissato le corde in sosta. A quel punto volevo raggiungere i Giovanni, perché comunque avevo ancora una buona dose di corda con me. Anche lì ho avuto chiamiamola intuizione, prima di calarmi direttamente da lui in diagonale perché, appunto, lui non era sulla mia verticale. L’intuizione, visto che il terreno lo permetteva, riusciva a muovermi abbastanza bene senza neanche, diciamo, appendermi alla sosta è stata quella di portarmi sulla verticale delle corde a cui lui era appeso e bloccarle a quell’altezza in cui le ho raggiunte perché ho pensato che, nel caso in cui il friend cede, facciamo comunque una fiona di 30 metri su una sosta, su due chiodi piantati alla veloce quindi fammi capire hai usato le tue corde per arrivare alle corde che scendevano verso Giovanni e lì hai bloccato di nuovo esatto lì c’era una fessura buona vicina.

Ho fatto un brusik sulle corde in tensione e le ho collegate a questo friend buono, era ottimo, quello, me lo ricordo bene. E una volta fissata, anche quello allora come era un po più tranquillo sul fatto che non scappasse più nessuno. E mi sono poi da lì effettivamente calato su entrambe le corde, come fosse una doppia, da Giovanni che in quel momento è riuscito a vederlo, era accasciato su una rampetta, su una cengia, questo canale. Giovanni era appunto, era cosciente, era ancora al telefono, tant’è che ha fatto in tempo a passarmi il numero d’emergenza. Però ormai lui era stato molto chiaro, avevano già individuato bene la posizione. Io gli ho potuto chiedere due dritte su quello che potevo fare nel mentre, per quanto appunto il giù da vedere, non era particolarmente come dire come è fatto diverse scorrezioni, così però era composto. Non immaginavo del trauma alla schiena, di quant’altro. Lui diceva sì, male della miseria. Però insomma, due dritte. Mi hanno detto guarda, arriva l’elicottero, facciamo noi esatto anche dato il contesto.

0:25:36 – Giovanni
Meglio così, perché se ci fossero inventati qualsiasi cosa.

0:25:40 – Lorenzo “Boz”
Infatti, insomma, anche quello a me era assicurato, che ho individuato la posizione, il ricottero disponibile. Poi era davvero una giornata limpida, senza una bava di vento, quindi condizione ideale anche per effettuare un intervento di quel tipo. E quindi lì si è chiusa la chiamata e forse ho aggiunto ancora un friend per assicurare me lì su quella cengetta già che c’eravamo.

0:26:04 – Fabio
È tutto abbastanza aleatorio, quindi una cosa in pieno fa male effettivamente. Giovanni, faccio riferimento all’articolo che tu hai scritto sul post. Mi pare di capire che tu avevi già consapevolezza del danno che ti era capitato a seguito di quel volo. Al di là dell’aspetto del trauma oculare e quant’altro, però, c’era qualcosa di più serio, mi pare io avevo la sensazione.

0:26:33 – Giovanni
Poi ce l’ho avuta per quasi un mese dopo, sai, quando staccavi l’antenna del televisore che vedevi tutto grigio, no, con quei disturbi che vanno così. Il mio cervello vedeva quello quando provavo a mettere a fuoco dalla vita in giù e ho detto vabbè, io qui ho rotto la schiena nel senso, a parte il dolore, la mancanza proprio di una percezione della sensazione della posizione, cioè le gambe erano scollegate. E lì ho detto cavolo, basta, non cammino più. Perché poi sai, uno non ne sa niente, non sa come funzionano queste cose e tipicamente, quando ti rompi la schiena, la prima, la prima cosa che pensi è non cammino più su questo mi pare possiamo tornare anche magari più dopo.

0:27:34 – Fabio
Alla fine facciamo un discorso anche su questo, mi pare possiamo tornare anche magari più dopo. Facciamo un discorso anche su questo aspetto qui. Bene, quindi direi che dopo questa chiamata alla fine il soccorso è arrivato. Mi pare di aver letto anche che Lorenzo si è preso i complimenti da parte del soccorso per come comunque aveva gestito l’emergenza. Questa cosa credo che sia anche un segno della qualità del lavoro, fatta in un momento ovviamente di altissimo stress e che probabilmente deriva dal fatto che eravate già comunque esperti su quel tipo di terreno scalando col Gio ho avuto la possibilità comunque di vedere che un po’ di destrezza con le corde ce l’aveva, le manovre le gestiva tranquillamente.

0:28:21 – Lorenzo “Boz”
Poi non ci è mai capitato di fare manovre particolari al di là delle manovre di routine.

0:28:28 – Giovanni
Forse tra i due, sicuramente Lorenzo è quello che aveva una maggiore dimestichezza con le manovre e quindi non avrei voluto essere nella sua posizione, esattamente perché poi ha fatto una serie di cose che o ti vengono in mente o è un contesto talmente particolare che, sai, non ti viene in mente di approfondire con qualsiasi contenuto didattico o qualsiasi esperimento. In apertura, però, erano più quegli stratagemmi di cui parlava Boz, di gestione del materiale, ma mai attrezzare un soccorso, un autosoccorso. Questo, almeno parlo, per me era che ho fatto solo corsi di scialpinismo. Non ho mai fatto un corso di alpinismo non ho mai fatto un corso di alpinismo.

Devo dire, mi sono ripensandoci. Ho proprio pensato cavolo, io quelle cose lì esattamente così non le sapevo fare. Quindi bene che in quel momento qualcuno ci abbia messo la testa e avesse avuto anche l’intuizione di poter.

0:29:54 – Lorenzo “Boz”
Ma alla fine, le manovre che ho fatto non è che hanno seguito uno schema preciso, particolare, impossibile da fare.

0:30:03 – Fabio
Ovviamente ogni situazione di pericolo è a sé stante. Quindi quello che intenevo io è che, appunto, probabilmente il fatto di aver visto anche il fatto stesso di aprire delle vie comunque ti obbliga ad avere una flessibilità mentale nella gestione della corda, del materiale, delle attrezzature, che magari è meno o meno abituale per chi fa magari vie sportive e quant’altro.

0:30:24 – Giovanni
Insomma, tutto lì ci contraddistingue in questa cosa, che siamo entrambe due persone che il panico non lo provano, cioè non c’è quella sensazione di chiusura della testa che ti dice oh mio dio, non so cosa fare, smatto con la cosa, si non ce l’abbiamo. Anche per quello eravamo un’accordata, abbastanza affiatata, perché era sempre un approccio razionale a quello che dovevamo fare, come gestire le cose. Non c’era mai la paura, era sempre la razionalità, il controllo prima e poi, semmai lo spazio per godersi quello che si sta facendo. Però la chiusura del panico, che è quella molto pericolosa, cioè se lui si fosse buttato giù, calato sulle doppie a 200 all’ora, su quel friend poi era un friend che ho messo io, quindi ovviamente avrebbe tenuto di tutto, però no, no capisco cosa intendi.

0:31:37 – Fabio
Sicuramente anche quello è un aspetto da considerare.

0:31:40 – Giovanni
Quando si fanno, si fanno le cordate sì, e a me è capitato di essere in montagna con con gente che invece per un attimo hai il dubbio se ci sei o ci fai, perché c’hai qualsiasi tipo di paura, spavento, e quella cosa no, non ce l’avevamo. Quindi quello ha aiutato parecchio, secondo me.

0:32:02 – Fabio
Ok, e quindi a questo punto, come d’abitudine, sempre per seguire un po’ lo schema classico degli episodi di questo podcast, vi chiedo se potete fare un elenco se c’avete, immagino che ci avrete ripensato e quindi, quali sono secondo voi i punti, i momenti in cui le scelte che avete fatto poi hanno influito sull’esito della giornata?

0:32:27 – Giovanni
allora sicuramente la cosa numero uno è cioè se io devo ripensare indietro, poi faccio un po’ la predica col culo degli altri perché non so se ritornerò mai a fare gite in montagna in giornate impegnative, quindi lo dico così per gli altri è quella del dire prendersi più tempo, quella una scelta sbagliata, questa cosa che facevo io, ma lo facevo per una contingenza della famiglia, quella del dire faccio tutto in giornata, la tiratona per ritornare a casa, ecco, quello è di secondaria importanza. Quindi magari è meglio farne un’uscita in meno, però avere più possibilità di godersela, di avere i tempi giusti. Quindi una notte in bivacco in più può salvare un po’ la testa, un po’ l’attenzione, la possibilità di avere del sonno, un colpo di sonno. Anche un’altra cosa, sempre parlando di questioni più psicologiche, è quella del dire io ho sempre fatto alpinismo di buon livello, facevo questa salita in un momento in cui Bozza era incredibilmente in forma, io non ero proprio al 100%, ero al 70%, cioè quel giorno lì potevamo andare a fare una via meno impegnativa o con avvicinamento più corto di qualsiasi altro genere, e sarebbe comunque stata una bella giornata.

Invece la pressione chiamiamola pressione sociale cioè quella di dire ah, io le salite che faccio sono sempre delle bombe, anche se scalo poco, comunque faccio salite di qualità. Quella cosa lì è stata una pressione che io sentivo e che adesso sento che è una sciocchezza, perché poi sembra strano. Ma in ospedale nessuno si rende conto della differenza tra la ferrata più banale del mondo e una salita, una prima salita 6.000 metri sul granito dell’ogre. Non hanno idea le persone. Quindi tu, per stare dietro a un pensiero di qualità che una nicchia ristrettissima di persone nel mondo è in grado di comprendere, io mi sono messo, messo a rischio la mia vita e la vita di un amico, e quindi anche quello è sempre ponderare bene la nostra esposizione al rischio e le imposizioni, diciamo spesso stupide, che sentiamo da fuori di dire guarda, io sono un signor alpinista, queste cose le devo fare, anche se oggi non è giornata. Quindi queste due cose qui, non so magari bozza altri altri commenti, queste due cose qui, magari bozza altri commenti lo condivido il pensiero.

0:35:17 – Lorenzo “Boz”
Purtroppo, per fortuna, insomma, mi dedico attivamente a questo genere di salite e quindi capita di incappare. Ho avuto una giornata diversa anche il giorno prima. Io ero riposato, effettivamente insomma la sentivo bene la salita. Arrivavo con un altro approccio rispetto al Giovanni. Quindi, da quel punto di vista del pre quello che c’è stato prima, poi del fatto l’ho vissuto diversamente e ancora oggi, a ripensarci, dal mio punto di vista non me ne faccio una colpa, quello sicuramente. Poi, parlando con Joe, sia nel momento stesso, lui la mattina mi aveva accennato qualcosa che aveva dormito poco, insomma, ha avuto una giornata diversa il giorno prima. Però poi, sai, lì per lì siamo andati via lisci nell’avvicinamento, abbiamo chiacchierato, siamo andati via lisci nell’avvicinamento, abbiamo chiacchierato, insomma però appunto, il discorso dell’influenza, del bisogno che sentiamo di farne sia per un’immagine verso gli altri, sia per il nostro appagamento, insomma, poi, se si va a guardare due giorni dopo la salita, cosa effettivamente abbiamo messo in gioco e per cosa, forse, insomma, la bilancia è un po’.

0:36:38 – Fabio
Sì, non è facilissimo perché stai dicendo giustamente una cosa che anch’io penso cioè è vero, sì, la parte della pressione sociale è sicuramente un fattore che influisce molto, adesso come adesso in particolare con social e quant’altro. Però c’è anche da dire che lo spirito dell’alpinismo è proprio anche quello del confronto con se stessi. Quindi, comunque l’asticella la alzi, non solo per fare la figura nei confronti degli altri, ma anche per te stesso, da poco quanto questo sia….

0:37:05 – Lorenzo “Boz”
Sì, sì, esatto, io ti parlo, e sono a diversi anni che non ho canali social.

0:37:09 – Giovanni
Ecco quindi a parte due righe, non è vero. Su Gulliver è molto no, ma davvero i suoi? l’hai messa su Gulliver, l’avvicinamento no, no, però devo dire. Io ogni tanto andavo a rileggermi le sue descrizioni le salite sono sempre molto spassose e divertenti anche l’articolo che c’è nel tuo blog è sicuramente molto coinvolgente.

0:37:39 – Fabio
Poi metteremo il link nella descrizione di questo episodio, perché invito tutti comunque ad andarselo a leggere, anche perché c’è la parte che abbiamo un po’ tagliato adesso ma che prosegue del soccor. Voglio solo tirar fuori l’argomento un po’ l’elefante nella stanza, come si dice, nei confronti magari di qualcuno che potrebbe contestare anche se io in realtà non sono tra questi, ovviamente che riguarda gli aspetti legati alla sicurezza durante quella progressione nello zoccolo, cioè il fatto stesso che ci fosse solo un friend, che non ci fosse una sosta e quant’altro. Quindi vorrei chiedervi qual è la vostra visione e se potete un po’ spiegare perché in realtà ci si muove in quel modo su quei terreni.

0:38:30 – Giovanni
Guarda, quando abbiamo fatto la Cassin l’anno, prima da parte forse il primo tiro e poi fino fino al cengioni e mediano, dove poi ci seguono una serie di tiri un attimo più impegnativi. Comunque lì ci sono quelli che sarebbero 6 o 7 tiri di corda e noi li abbiamo fatti tutti in conserva da un contesto di rischio oggettivo. Ti permette di si esporti maggiormente dal punto di vista della del possibile rischio di cadere, perché sei meno assicurato, però ti preserva da altri rischi un temporale, una caduta di sassi dall’alto, eccetera. Quindi andare veloci, e per andare veloci per forza devi proteggerti poco, perché se no aumentano i tiraggi e se ti proteggi tanto aumentano i tiraggi. Per quanto tu sia bravo, allungare tutte le cose poi ci mette comunque del tempo ad avere dei piazzamenti buoni, perché mettere dei friend che se ci cadi sopra non ti tengono, tanto vale che non li metti.

Quindi dai una pulita alla fessura, giusto per tirar via un po’ di sabbia. Controlli bene, dai il controllo, allunghi il friend, ci metti un minuto a metterne uno. Se per ogni tiro ne devi mettere 10, per una via di 15 tiri, ti va via a tanto tempo e quindi andare via veloci secondo me anche una forma di sicurezza. C è capitato di fare dei tiri di quarto o quinto grado, senza mai mettere niente dentro. E ovviamente, pensando a quello che è successo, come dire, un po’ un brivido viene fuori perché io sono caduto su una placca che sicuramente che a me è capitato faccio un esempio sulla Tal Donus Deo, in Alto Masino, di fare anche lì una caduta, però ero andato fuori via. E proprio il ricordo di io, fuori via, su una placca di settimo, che dico ma qui non sto attaccato, ti provi allungare a prendere una tacca lontana e ti partono i piedi, le mani, eccetera. Io non ho questo ricordo nel volo che ho fatto, che poi ha portato all’incidente, e era proprio una placchettina del cazzo, si può dire vai, vai capito.

Quindi era proprio una cosa che dici è uno di quei 100 passi che fai durante una salita, dove devi mettere dentro dei passi veloci su un terreno che non è né facilissimo né difficilissimo e quindi lì per forza devi andare veloce. Mi è capitato di fare delle salite dove vai piano e se vai piano poi c’è davvero il rischio il temporale della sera, il mi sono preso più di una grandinata a 3.000 metri e sinceramente non so cos’è meglio, cos’è peggio. C’è bisogna considerarlo che forse è tutto quel tipo di alpinismo lì da mettere in discussione. Se vuoi limitarli. Rischiano, perché è una questione di variabili e ogni cosa dove la coperta è corta.

0:42:19 – Fabio
E naturalmente poi ci sono gli alpinisti, quali, bravissimi, che non sbagliano mai niente, che non li parte mai il piede, però sono pochi infatti credo che così un po’ per riassumere, è sempre la questione della propensione al rischio, cioè quanto siamo disposti ma soprattutto quanto siamo consapevoli del rischio a cui andiamo incontro. Chiaro che quel tipo di progressione è una progressione che sappiamo ha dei rischi. Ovviamente, nel momento in cui si decide di fare una via, un certo tipo di attività, si accetta quel rischio. Non ci sono formule magiche.

L’unica cosa che è importante è proprio quello di capire e di essere consapevoli, quindi di non affrontare cose senza avere idea di cosa possa succedere, ma essere consapevoli di qual è il rischio a cui si va incontro assolutamente firmo va bene, siamo un po’ lunghi, però ci tenevo comunque a toccare anche l’argomento post, perché è qualcosa che sicuramente ha impattato molto nella tua vita e quindi ti chiedo così poi magari rimandiamo per gli approfondimenti al tuo bellissimo account Instagram, che ho visto e sul quale stai un po’ raccontando le tue fasi, ma insomma lo lascio raccontare a te che sei sicuramente più bravo e più competente di me. Quindi partiamo diciamo un po’ dall’esito.

0:43:44 – Giovanni
Intanto appunto, quale è stato ok, niente, ho rotto, come dicevo, l’orbita oculare, una gamba e la schiena. La schiena l1 e d12 si sono rotte, l1 proprio polverizzata. E il fatto che si sia polverizzata è stato, ho capito dopo un bene, perché se una vertebra si rompe a metà e scorrono le due metà una sull’altra, una metà fa da coltello sul midollo, sui nervi e lo taglia in maniera netta. Invece, se si polverizza, praticamente i frammenti si toccano dentro le fibre nervose però non hanno magari la forza di tagliarle di netto. E quindi io per un paio di settimane proprio continuavo a sentire quella sensazione di disturbo di segnale e niente, quindi né il tocco, né niente. Però dopo un po’ ho cominciato a sentire una sensazione dei dolori lancinanti, dolori fortissimi e della sensazione del tocco un po’ dappertutto, progressivamente dappertutto, e poi, tipo dopo tre settimane ne ero sempre in ospedale, perché poi una volta che sei paralizzato, praticamente tu non riesci più a muoverti, più a muoverti.

Uno dice non è che muovi, solo le gambe, non riesce più a stare seduto, proprio come dire sei steso e ci metti mesi a prendere confidenza con questo corpo che non risponde. No, e va bene, era un ospedale. E dopo tre settimane mi tolgono il catetere e dico portatemi un pappagallo, che devo fare la pipì, e tutti dicono ma è impossibile, non puoi fare la pipì, e faccio portatemi un pappagallo e un po’ di riffo di raffa. Comunque io col pappagallo lo riempiono praticamente, perché normalmente le persone che hanno un danno spinale non riescono più a controllare la minzione volontariamente, e quindi quella cosa lì ha cominciato un po’ a farmi pensare che il danno non era così terribile.

E poi sempre vabbè, adesso un po’ crudo, però tipo dopo un mese riuscivo a muovere il buco del culo e quindi dico parto da lì e dico e io, come dire, muovevo tutto quello che potevo muovere. E poi pian piano, dopo due mesi riuscivo a far muovere che so un pelo di una gamba, praticamente. E poi adesso non dico che cammino propriamente, perché sembro un po un pinguino, però con delle specie di tutori per le caviglie che mi aiutano a tenere il piede un po a martello, perché le caviglie, essendo cioè immaginate proprio da dall’alto verso il basso, si sta, come dire, rianimando un po tutto. Però le caviglie sono proprio in fondo e prima che ci arrivino linee ervi, eccetera, passerà un bel po’ di tempo.

0:47:27 – Lorenzo “Boz”
Quindi adesso questi tutori che mi permettono di camminare, cammina un po’ come la seconda metà dei finisher del Tour de Jeanne quando arrivano a Courmay.

0:47:40 – Giovanni
Ok o il giorno dopo, il giorno dopo del giorno dopo del torta rappresento.

Bene, faccio le scale, sai, tenendomi il corrimano al muro faccio, però diciamo tanta roba. E poi adesso da due mesi riesco andare. Ho preso una bici assistita, prima bozze degli altri amici, lo scorso scorso estate, scorso inverno mi ha regalato un triciclo a braccia e con il motore l’assistenza, quindi abbiamo fatto anche dei giri in montagna, nonostante non riuscissi minimamente a camminare. Appena dopo, a quattro mesi dopo l’incidente, eravamo già sulla neve col triciclo, eccetera. Quindi comunque ci siamo divertiti in montagna. E poi adesso con una mountain bike assistita riesco a farmi dei bei giri, molto meglio che il triciclo, perché il triciclo aveva una ruota di trazione davanti e quindi sulle salite non avevo una buona trazione e loro dovevo sempre andare con qualcuno che mi aiutava. Bozza sarà sceso dalla bici a spingermi 2000 volte nel corso dei nostri giri. Invece adesso con la bici assistita, finché non finisce la batteria, riesco a stare abbastanza dietro a tutti e quindi un percorso ancora probabilmente lungo, però insomma, con un buon visto che stiamo parlando di fatto di un anno.

Un anno e mezzo, un anno e mezzo, poco più, devo dire, è incoraggiante la progressione. Naturalmente, come dire, il 3 luglio 2022 io ho subito un danno in un certo senso irreversibile, perché la quantità del danno che mi sono arrecato poteva essere completamente irreversibile, ma in questo caso è comunque irreversibile nel senso io prima ero uno che correva 50 chilometri in montagna, faceva delle gite di sciampinismo da 4000 metri Adesso. So benissimo che quella parte di me non c’è più. Quindi l’incidente è stato qualcosa di non impattante, come sembrava all’inizio, però comunque molto impattante, e poi si sa mai c’è, nel senso però comunque da prendere in considerazione che che non non è un tipo di incidente che ti concede una guarigione completa.

0:50:24 – Fabio
Sì, non ho molto da ribadire a questo. ovviamente ti ringrazio della trasparenza e della chiarezza con la quale hai elencato i passi, le tappe, della tua no credo sia importante perché comunque poi credo che ci sia insomma tutto un aspetto psicologico importantissimo dietro che non è l’obiettivo di questo podcast, però è utile da ricordare, da far presente.

0:50:51 – Giovanni
Sai perché, fabio, lo dico Perché poi sono diventato un po’ una persona di riferimento quando si rompe la schiena a qualcun altro, e poi sembra sempre che c’è quella narrativa del dire a giovanni, ce l’ha fatta, era paralizzato con la forza della volontà e si è rimesso in piedi, eccetera. No, c’è, ci sono dei contesti dove se c’è un trauma spinale completo, cioè dove proprio il midollo viene tagliato e non c’è sensazione, eccetera, non è che la volontà di Giovanni Montagnani serve a qualcosa, non serve a niente. Poi io ho fatto un uso, devo dire, ottimale delle risorse e delle possibilità che mi sono state date, però poi questa cosa non deve servire a dire a una persona che non può riuscire a camminare di nuovo, a non hai fatto abbastanza, eccetera. Ho capito. Quindi, per quello solo ho voluto precisare alcune cose che contraddistinguevano il mio tipo di recupero, indipendentemente dal fatto che mi sono fatto un mazzo.

0:52:09 – Fabio
Così esatto, infatti, quello che stavi dicendo, compatibilmente con i limiti fisici dati dall’incidente e dati dalle possibilità che ti ha dato chi ti ha messo le mani sopra, perché immagino che dietro ci sia un team di chirurghi e fisioterapisti, non da poco sì, sì, devo dire che la chirurga che la domenica pomeriggio si vede arrivare lì uno è messo come ero messo e lo aggiusta, tanta roba infatti, quindi, come dici tu, non è per tutti, però da lì poi si parte effettivamente.

quindi, sicuramente il tuo racconto, la tua storia è un’ispirazione per chi, come dici tu giustamente, si trova in situazioni confrontabili con le tue e non ancora ulteriormente più gravi precisa sì, mi ha fatto un’ora, di solito siamo a metà, però insomma, in qualche modo mi è sembrato tutto molto interessante, per cui per una volta possiamo sforare anche la canonica mezz’ora, tre quarti d’ora, che di solito mi do come limite, e niente. Io vi ringrazio davvero entrambi per la disponibilità, per la onestà con la quale avete raccontato il vostro racconto, il vostro incidente, e quindi basta. Vi saluto. Vi ringrazio ancora.