In questo episodio ospitiamo Lucio, che condivide un drammatico incidente vissuto sulle Dolomiti nel 1990, quando aveva solo 19 anni.
Durante una solitaria sulla Croda Rossa di Sesto, Lucio fu travolto da un’imponente scarica di rocce che gli causò fratture multiple, ferite gravi e la perdita dell’attrezzatura essenziale. Rimasto senza possibilità di comunicare – in un’epoca priva di telefoni, GPS e tecnologie moderne – Lucio racconta le ore di paura, la gestione autonoma dell’emergenza e il salvataggio effettuato da una guida austriaca e successivamente dal Soccorso Alpino.
L’episodio si concentra anche sull’evoluzione della sicurezza in montagna, sull’importanza della preparazione e della dotazione corretta, e sul percorso che ha portato Lucio a diventare volontario del Soccorso Alpino, trasformando un trauma in una missione di servizio verso gli altri.
È un racconto potente, ricco di spunti per appassionati di montagna, escursionisti e chiunque pratichi attività outdoor in autonomia.
Riassunto dell'episodio
Nel 1990 Lucio sopravvive a una scarica di rocce sulla Croda Rossa di Sesto. Ecco cosa è accaduto, come è stato soccorso e quali lezioni di sicurezza restano valide ancora oggi.
Introduzione
La montagna insegna attraverso il tempo, spesso in modo silenzioso, altre volte con una violenza improvvisa. È il caso di Lucio, che nel 1990 — quando aveva solo 19 anni e si muoveva da autodidatta sulle sue amate Dolomiti — fu travolto da una scarica di rocce mentre affrontava la parete est della Croda Rossa di Sesto.
L’incidente, avvenuto in un’epoca priva di telefoni, GPS, tracciamenti e applicazioni di emergenza, avrebbe potuto essere fatale. Eppure Lucio ne uscì vivo, grazie all’istinto, a una manciata di decisioni corrette, e soprattutto all’intervento di una guida alpina di passaggio e del Soccorso Alpino.
A distanza di 35 anni, quel momento ha profondamente modellato la sua vita: non solo nella relazione personale con la montagna, ma anche nella scelta di diventare soccorritore volontario, restituendo ciò che un giorno gli fu dato.
Questo articolo ricostruisce il suo racconto e raccoglie le lezioni che ogni escursionista, alpinista o amante dell’outdoor dovrebbe portare con sé.
La mattina dell’incidente: una solitaria sulle Dolomiti
Settembre 1990. Lucio, allora diciannovenne, soggiorna presso il Rifugio Berti, nel gruppo del Popera. Decide di affrontare in solitaria la parete est della Croda Rossa di Sesto, seguendo più o meno la ferrata Zandonella.
È presto, il terreno è freddo, e la montagna è ancora quasi deserta: una condizione tipica dell’epoca, lontana dal turismo di massa attuale.
Mentre si muove su un tratto meno inclinato della parete, un boato improvviso rompe il silenzio. In un primo momento pensa a un temporale in arrivo. Poi alza lo sguardo.
La scarica di rocce
Dall’alto avanza un enorme “nuvolone giallo”: è polvere di roccia. La scarica si stacca da una sezione strutturale — un vecchio manufatto militare della Prima Guerra Mondiale — che quel giorno cede all’improvviso.
Lucio ha pochi istanti per reagire. Si rifugia in un “buco di mina” e si rannicchia proteggendo la testa.
È travolto da pietre di ogni dimensione:
le più piccole fischiano come proiettili,
le più grandi, “grosse come un’auto”, precipitano a pochi metri da lui.
Quando tutto si placa, in meno di un minuto, si ritrova gravemente ferito:
casco distrutto,
un braccio con frattura esposta,
una gamba fratturata,
forte perdita di sangue,
senza zaino, senza uno scarpone, senza strumenti.
Il silenzio e l’attesa: il peso dell’assenza di tecnologia
Nel 1990 non ci sono telefoni cellulari, radio portatili, GPS o app di soccorso. La sola speranza è che qualcuno abbia sentito la frana o che altri escursionisti stiano salendo.
Lucio urla per un’ora intera, intervallando le chiamate di aiuto contando mentalmente i secondi perché perfino il suo orologio è andato distrutto.
Quando nessuno arriva, valuta l’idea di scendere da solo, ma non riesce nemmeno a stare in piedi.
Il soccorso: una guida austriaca e il Soccorso Alpino
Dopo circa due ore compaiono tre persone: una guida alpina austriaca con due clienti. Sono stati rallentati dal tratto percorso da Lucio prima della scarica.
La guida gli presta il primo soccorso con materiali rari per l’epoca ma salvifici:
laccio emostatico,
telo termico,
fasciature adeguate.
Un membro del gruppo scende al Rifugio Berti per avvisare i soccorsi.
L’elicottero arriva circa tre ore dopo. All’epoca non esisteva ancora il verricello: Lucio viene evacuato con baricentrico e trasportato in più tappe all’Ospedale Codivilla di Cortina.
Le lezioni apprese: ieri e oggi
L’incidente diventa per Lucio una linea di demarcazione: c’è un “prima” e un “dopo”.
Oggi riconosce tre grandi insegnamenti.
1. L’importanza dell’equipaggiamento adeguato
All’epoca aveva un equipaggiamento minimale. Oggi non parte senza:
laccio emostatico,
fasciature serie,
telo termico,
GPS e backup,
doppie o triple fonti di luce,
comunicazione affidabile.
2. La solitaria non è un errore — ma va gestita
Non è la solitudine il problema, ma l’assenza di piani e mitigazioni.
Oggi esistono strumenti come:
dispositivi satellitari,
tracciamenti automatici,
mappe offline.
3. Un trauma può trasformarsi in servizio
Per restituire ciò che aveva ricevuto, Lucio decide anni dopo di entrare nel Soccorso Alpino. È un percorso impegnativo, che richiede formazione continua, ma per lui è un modo di trasformare un incidente in un nuovo scopo.
L’evoluzione del soccorso alpino
Dagli anni ’90 a oggi, l’elisoccorso e il soccorso tecnico sono cambiati radicalmente:
introduzione del verricello,
materiali più leggeri e resistenti,
addestramenti standardizzati,
maggiore specializzazione,
interoperabilità con altre forze di soccorso,
tecnologie di ricerca e comunicazione avanzate.
Conclusione
Il racconto di Lucio non è solo la cronaca di un incidente, ma una testimonianza potente su come la montagna richieda rispetto, lucidità e preparazione.
Oggi, grazie alla tecnologia e alla diffusione della cultura della sicurezza, molti incidenti possono essere gestiti meglio — ma il fattore umano resta centrale.
Che si tratti di una solitaria o di un’uscita in gruppo, la montagna non perdona l’improvvisazione, ma premia chi la affronta con consapevolezza.
Trascrizione dell'episodio
00:00 – Fabio (Host)
Benvenuti a questo nuovo episodio. Siamo di nuovo qui per raccontare ancora una disavventura in montagna. Questa volta, come è già accaduto in passato, andiamo molto indietro nel tempo, visto che il racconto che ci condividerà tra poco, lucio, è un racconto di un incidente avvenuto nel 1990. Il racconto di un incidente avvenuto nel 1990, un incidente del 1990, che però ha dei contenuti che, come appunto già avvenuto in passato, sono tuttora attuali e quindi abbiamo pensato di condividerli in questo episodio. Quindi, come ho detto prima, l’ospite è lucio, a cui lascio subito la parola, non prima di averlo ringraziato per avermi contattato per condividere il suo racconto. Quindi, lucio, a te, come sempre, l’invito a raccontarci un po’ di te, della tua esperienza attuale, ma anche quella che avevi allora, visto che, appunto, sono passati 35 anni.
00:59
A te.
01:00 – Lucio (Host)
Ciao, fabio, grazie. Io ho scoperto da poco il, il tuo podcast, ma lo sto recuperando molto velocemente e ti ringrazio per aver accettato la mia proposta. Come dicevi, mi chiamo lucio, io ho 54 anni, sono nato e vivo a roma, però ho avuto la fortuna di poter frequentare le dolomiti fin da piccolo, come tantissimi romani, fra l’altro grazie a mia nonna, i miei genitori, che mi hanno permesso vacanze addirittura di tre mesi, quando si potevano fare. Ho avuto la fortuna di frequentare dolomiti quando non era così di moda, quando arrivare a un rifugio era ancora qualcosa di avventuroso e magari ti offrivano pure un cordiale, quando al lago di braes ci si incontrava con quattro gatti e quando per arrivare alle trecce mil eredo te la dovevi fare per forza da valle. Io da autodidatta sono passato dalle escursioni alle ferrate, poi alle prime arrampicate in montagna e poi in falesia.
01:49
Alla fine degli anni 80 sono socio calda, 38 anni, ma solo di recente mi sono deciso a seguire qualche corso, ossia dopo aver scoperto l’appendino, ahimè colpevolmente così con grande ritardo. In particolare, il transasso verso il 2015 e più o meno sempre da dieci anni è anche arrivata la passione per l’alpinismo invernale, dopo che per gran parte della mia vita per me l’inverno era solamente sci di pista. Questo sono io. E mentre invece nel 1990 ovviamente tutto questo non c’era, c’era solamente tanta passione e c’era un ragazzo di 19 anni che conosceva veramente ben poco della montagna e che andava in ferrata come andavano tutti all’epoca, o magari qualcuno già si era evoluto. Con un pezzo di cordino in vita e due moschetton, direi che passiamo come sempre al succo un po’ del racconto, ovvero di cosa è successo quel giorno.
02:51 – Fabio (Host)
Quindi io ho già detto l’anno se ci dici un po’ magari di più sulla stagione e il tipo di attività che stavi facendo e che cosa poi è successo.
03:01 – Lucio (Host)
Sì, era il 1990, era settembre. Mi trovavo da solo, quella volta, sulle Dolomiti e stavo passando un piccolo periodo, diciamo alla Pari, presso il rifugio Berti, che è un bellissimo rifugio, che è il vacco melico, nel gruppo del Popera. Il rifugio all’epoca era gestito dalla famiglia Martini e quella mattina era una mattina appunto di settembre, molto fredda decisi di fare un giro da solo. Mi avventurai verso la croda rossa di sesto per la parete est, dove c’è un percorso attrezzato, la ferrata zandonella. Io lo stavo seguendo, ma in maniera molto, diciamo, molto leggera. Non stavo seguendo il percorso alla ferrata, avevo comunque un cordino. Mi stavo spostando sulla parete. La mattina presto e io mi ricordo che erano circa, le sanno state le 8, le 8 di mattina mi trovavo nel tratto meno inclinato della parete. Questa parete è costituita da due tratti verticali intervallati da un cengione mediano pieno di pietre, come spesso capita sulle dolomiti.
04:06
Mentre mi trovavo lì ero solo, non c’era nessuno, era settembre, all’epoca non c’era così tanto turismo, quindi si trovava giusto qualche austriaco, qualche tedesco in circolazione. Mi ricordo di aver sentito un grandissimo abboato e ho pensato cavolo, sta venendo a piovere. Bruttissima questa cosa. Ero già più o meno su 2700 metri e ho pensato che si metteva male. Poi ho guardato verso l’alto e ho visto un nuvolone giallo enorme che mi veniva incontro.
04:32
Non ci ho pensato due volte, ho preso, mi sono incastrato dentro un buco probabilmente un buco di mina austriaco, italiano, insomma, comunque della primavera mondiale e mi sono messo là dentro cercando di proteggermi il più possibile. A quel punto ho visto venire giù di tutto. Sono venute giù pietre grandi, grandi come un pugno, ma anche pietre enormi, grandi come una macchina, che mi sono passate vicino facendo quel classico rumore che molti hanno sentito e spero che possano raccontarlo. Le pietre più piccole fischiavano come proiettili e mi colpivano. La prima mi ha distrutto il casco. Ho cominciato a proteggermi la testa con le mani e mi hanno colpito le braccia. Alla fine non so quanto sarà durato per me in quel momento. In quei momenti sembrava fosse passato un tempo enorme. In realtà sarà durato 20, 30 secondi. Alla fine di questa, di questo bombardamento, mi sono ritrovato senza uno scarpone, senza lo zaino, con il casco rotto e con le braccia fracassate.
05:32 – Fabio (Host)
Quindi mi sono sentito veramente perduto in solitaria, in un periodo in cui non credo che serva sottolinearlo mancava completamente tutta la forma di comunicazione telefonica che abbiamo adesso. Quindi, la domanda e la curiosità a questo punto è come ne sei venuto fuori da una situazione del genere?
06:06 – Lucio (Host)
non esistevano i telefoni, quindi non ho pensato neanche a poter comunicare in qualche modo. Però c’era la possibilità che mi avessero sentito da rifugio sapevano che ero salito di là e la frana era stata molto grande e quindi era stata sicuramente avvertita anche da rifugio. E io ho cominciato a urlare, a urlare più che potevo, cercando di contare i secondi per intervallare le urla, perché anche l’orologio che avevo a polso era distrutto, quindi dovevo contare a mano. Dopo un’oretta passata così, mi sono ricordato di aver visto delle persone che salivano dopo di me, però erano molto più dietro e non le vedevo, quindi ho pensato che fossero rimaste sotto la frana, alla base della parete, e ho cominciato a pensare che non sarebbe salito nessuno ad aiutarmi. Quindi, così come mi trovavo, avevo delle grandi perdite di sangue, avevo un osso che mi sporgeva dal braccio, avevo una gamba fratturata.
06:57
Ho cominciato a pensare di dove scendere da solo e ho cominciato a muovermi un pochino dalla buca dove mi hanno cacciato, ma mi sembrava di essere disarticolato. Mi sono subito riaccasciato a terra, non per il dolore, ma proprio il fatto che non riuscivo a tenermi in piedi. Fisicamente il dolore forse non c’era, perché, come succede spesso in questi casi, l’adrenalina ti dà una botta che ti maschera un pochino il dolore. Però, ecco, dopo un’ora non era salito nessuno, quindi stavo cominciando a preoccuparmi. Per fortuna, le persone che stavano salendo dopo di me mi hanno raggiunto dopo circa due ore e hanno cominciato erano si trattava di una guida austriaca con dei clienti e hanno cominciato a darmi un primo supporto, quindi hanno cominciato a curarmi le ferite.
07:41
Nel frattempo un’altra persona era stata mandata indietro al rifugio per chiamare i soccorsi. Questa persona aveva delle dotazioni di emergenza, diciamo, non comuni soprattutto per l’epoca, quindi un laccio emostatico, un telo termico, tutta una serie di accorgimenti che mi hanno permesso di passare meglio il tempo fino all’arrivo dei soccorsi, soccorsi che poi, alla fine, dopo circa tre ore, sono arrivati. Sono arrivati con l’elicottero, a bordo del quale c’era, fra l’altro, bruno Martini, che era il gestore del rifugio all’epoca. Mi hanno caricato con un baricentrico, perché all’epoca il Vericello non ce l’aveva il suo MEPA Vedicatore. Mi hanno portato con qualche tappa fino all’ospedale di Cortina, al Codivilla, dove ho passato un bel po’ di tempo per sistemare tutte queste ferite.
08:30 – Fabio (Host)
Sì, quindi hai già specificato che quegli anni già il soccorso alpino era operativo a tutti gli effetti con gli elicotteri e tutto, per quanto non avessero il vericello, ma insomma, comunque con il baricentrico si faceva evidentemente lo stesso. Chiaro, agevolano sicuramente la situazione attuale, però il sistema c’era già di soccorso a tutti gli effetti? sì, esatto.
08:54 – Lucio (Host)
Io divido in genere la mia vita in prima e dopo quell’incidente, perché credo di aver rischiato veramente tanto, di essere stato proprio a un nulla dalla morte, perché è una scarica di quelle dimensioni non l’avevo mai vista. Poi sono tornato sulla cengia anulare della crota rossa, da cui si è staccata una parte del tetto una cengia costruita con le mine durante la prima guerra mondiale e mi sono reso conto che era venuta giù una fortificazione, sempre della prima guerra mondiale, fatta dal battaglione fenestrelle. E la cosa curiosa è che c’è una foto del padre di bruno martini, che mi è venuto a salvare, ex gestore del rifugio e guida alpina, che si affacciava da quella, da quella parte che era venuta, che era crollata quindi ha individuato il punto del crollo del cedimento.
09:43
Diciamo sì, esatto. E poi, ripensandoci, andando già a cominciare a parlare di errori, ovviamente non lo citiamo neanche, ma è così. Il fatto che io sia andato da solo. In quel momento l’unica cosa che ho pensato è se fossi stato con mia sorella e mia sorella fosse avesse avuto delle conseguenze più gravi delle mie, io non sarei più tornato in montagna. Quindi, in quel momento quello che riuscivo a pensare era al fatto che, comunque sia, me l’ho provata, ero da solo, non è successo niente a nessun altro ok, sì, è una visione originale un po’ particolare.
10:15 – Fabio (Host)
Sì, allora, giustamente hai citato tu la fase che viene di solito normalmente in questi episodi, che è quella dell’analisi degli errori o comunque, insomma, della condivisione di ciò che è stato fatto di sbagliato. Qui, francamente, come ci siamo già detti prima di registrare, non c’è molto, nel senso che si tratta ovviamente di un distacco naturale e quindi non sicuramente non ci sono responsabilità. Tuecuno probabilmente potrebbe dire che il fatto di andare da soli è un errore di per sé. Chi ha ascoltato altri episodi, di altri incidenti, di racconti di gente che si muove in montagna da sola, sa che la mia visione personale è che questo non sia un errore. È un modo di affrontare la montagna che ha ovviamente dei rischi aggiuntivi e quindi, come tali, questi rischi vanno mitigati. A me è venuto in mente mentre raccontavi che ovviamente al rifugio sapevano dove eri.
11:14
Questo è. Poi la tecnologia è evoluta ci sono i telefoni con il ricevitore satellitale e con la relativa app GeoResc del soccorso alpino che consente di essere continuamente tracciati in tempo reale, se c’è copertura telefonica, ovviamente, per le proprie attività. Quindi diciamo che gli strumenti per limitare, per ridurre il rischio legato all’attività solitaria ci sono, vanno conosciuti, vanno usati e nel momento in cui si decide di usarli, l’attività solitaria non è più un errore. Questa è una mia visione personale.
12:00 – Lucio (Host)
Non so come la pensi tu, ma si hai detto esattamente quello che volevo dire. Mi è stata data una seconda possibilità e quindi io questa seconda possibilità la sfrutto impegnandomi ad utilizzare tutti gli strumenti che il mondo attuale mi mette a disposizione. All’epoca io non potevo avere nulla a disposizione, quindi è stato un po’ avventato forse, ma, come già detto te, è stato un po’ avventato forse, ma, come già detto te, è stato un evento imprevedibile. Oggi non si può più rischiare neanche di farsi trovare impreparati da un evento inaspettato, perché ci sono gli strumenti che ti permettono di affrontare anche una solitaria anche più difficile, in maniera più consapevole, in maniera più sicura dal punto di vista, diciamo, almeno delle, dei soccorsi o almeno di chi si deve venire a cercare poi, forse un altro aspetto che mi piace sottolineare.
12:53 – Fabio (Host)
Non so se chi ascolta condivide questa mia scelta, però mi ha colpito molto il fatto che tu hai subito, di fatto, dei danni importanti e hai giustamente citato il materiale medico che aveva a disposizione la persona che ti ha soccorsa per prima.
13:09
E questo forse è un’altra cosa che possiamo un po estrarre, condividere da un incidente come questo che, ripeto, è venuto nel passato, ma gli effetti sono gli stessi che potrebbero tranquillamente avvenire anche oggi quindi una frattura esposta, con un relativo problema di emorragia piuttosto che di necessità di mobilizzare degli arti per ridurre dei danni vascolari e quant’altro. Quindi la necessità, secondo me, di dotarsi comunque di un kit di primo soccorso che sia tale, quindi non solo il kit con due cerotti e un paio di garze sterili con un po’ di disinfettante, ma con dei dispositivi che siano in grado poi di poter essere usati per fare le uniche cose che probabilmente da laici, come si dice, possiamo fare, che è quello appunto di limitare un’emorragia che potrebbe essere seria, per non dire fatale, nell’attesa anche dei soccorsi, che adesso sono sicuramente rapidi. Però un’emorragia potrebbe essere ancora più rapida, purtroppo, della capacità di intervento e qui chiedo la tua opinione da esperto diciamo, se non altro il ruolo del soccorritore, quindi il Lucio del 2025, cosa ne pensa di questa mia affermazione?
14:30 – Lucio (Host)
si, hai detto una cosa, hai anticipato una cosa, perché è importante focalizzarsi sulle cose che veramente contano nel momento del trauma. La prima è quella del sanguinamento. Molti potrebbero pensare di focalizzarsi sulle fratture, parlando ovviamente di autosoccorso, mentre invece la prima cosa a cui badare sono i sanguinamenti massivi. Quindi è importante avere un laccio emostatico e tanto nastro, tanto nastro sterile per se lo chiamiamo cerotto, ma è comunque un nastro che ti permette di contenere questo tipo di problemi. Hai accennato un’altra cosa io, in effetti, da questo episodio ho pensato di restituire il favore.
15:11
Mi spiego meglio sono stato soccorso, sono stato coccolato all’ospedale di Cortina, sono stato aiutato tantissimo e ho pensato, dopo molti anni, di restituire questo favore entrando nel soccorso alpino. È stato un percorso che non è tuttora terminato, perché gli esami, i processi, la preparazione non termina mai che mi sta dando tanta soddisfazione, che mi permette di restituire in parte il favore e la fortuna che ho avuto ormai 35 anni fa Da soccorritore. Ovviamente ho imparato molte cose in più che applico su di me e di cui ovviamente non possiamo parlare e che servono per limitare appunto questo tipo di danni, anche in autosoccorso.
15:54 – Fabio (Host)
Sì, esatto, questo era l’altro punto per il quale ho pensato che valeva la pena condividere il tuo racconto, anche in assenza, come abbiamo detto, di lezioni proprio tangibili derivanti dall’incidente. Tante volte ci si chiede perché qualcuno decida di entrare nel soccorso alpino, visto che, lo ricordiamo, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di volontari. Lo dico perché escludiamo magari gli operatori di elicottero e qualcun altro, però tutto il grosso della manovalanza sono dei volontari. Quindi, magari tante volte uno si chiede ma perché uno decide di fare una cosa del genere, ovvero sottoporsi, come hai detto tu, a esami, addestramenti continui, formazione, per poi andare a fare una cosa gratuita e, come è successo a te, anche ad altre persone che conosco, io che sono nel soccorso, per molti lo stimolo, la spinta finale viene proprio dal fatto di essere stati a loro volta soccorsi, quindi passati da soccorsi a soccorritori.
16:56
Questa è stata un po’ la spinta finale. Quindi su questo ti ritorno la palla. Magari, se vuoi un po’ approfondire, raccontarci adesso in che fase sei tu del percorso e soprattutto quali sono le soddisfazioni che ti stai prendendo nel fare questo tipo di attività la soddisfazione, appunto quella che dicevo prima è quella di di essere utile facendo qualcosa che ti piace.
17:25 – Lucio (Host)
Non nego che spesso e volentieri anche una scusa per andare ancora più in montagna di quanto già non vada. Però capita questo perché è comunque giustificata, diciamo ancora più giustificata nel tempo. Anche mia figlia si è avvicinata molto all’alpinismo. Abbiamo fatto molte cose insieme e mi è capitato di trovarmi a soccorrere delle persone dell’età di mia figlia. Lui è una cosa verso cui si nasce un’empatia naturale. Riuscire ad essere utili facendo quello che ci piace è una cosa che se non la devi spiegare non vuol dire che non può essere recepita no, immagino, comprendo, è un po lo stimolo che sta dietro sicuramente a tante attività di volontariato.
18:12 – Fabio (Host)
Ovviamente non è che siamo migliori di altri, diciamo che ci occupiamo di montagna, quindi parliamo di questo tipo di volontariato, però sicuramente è una scelta che sta dietro, appunto, a tante decisioni di procedere verso il volontariato dopo delle esperienze toccanti, o più o meno gravi, che hanno riguardato la nostra vita. Io direi che, per quanto mi riguarda, erano queste un po’ le cose che ci tenevo a far venire fuori dal tuo racconto e quindi ti lascerai così la parola per un’ultima chiusura se c’è qualcosa che vuoi aggiungere.
18:45 – Lucio (Host)
Volevo aggiungere che è incredibile il avendolo visto da vicino il progresso che è stato eseguito e che è stato raggiunto dai coppi di soccorso alpino nelle varie parti d’italia. Gli strumenti, le tecniche si sono evolute tantissimo, però è chiaro che in situazioni come quella in cui mi sono trovato, è la casualità a porti. Nelle loro mani non c’era, non ci sarebbe stato nulla da poter fare. Però è impressionante vedere come è cambiato l’elisoccorso dall’ora ad oggi e quanto ci possiamo affidare veramente alla presenza del soccorso alpino e di tutti i corpi correlati, gli altri soccorsi che comunque parimenti fanno anche il loro lavoro. Strumentazione di ritondata, quindi se normalmente si esce con una o due frontali, io me ne porto anche tre. Se si viaggia con un gps, io me ne porto anche un altro di scorta, magari vecchio o più piccolo. Quindi diciamo che la prudenza in questo momento non è veramente mai troppa. Allora non avevo nulla. L’unico strumento che avevo era un orologio, andato pure perduto. Adesso viaggio sempre con un bagaglio tecnico notevole come suggerimento finale.
20:07 – Fabio (Host)
Poi appunto, ognuno farà le proprie valutazioni. Però, come dicevo prima, soprattutto nel caso di attività personale in solitaria, direi che quella di dotarsi di quante più paracaduti possibili sia una scelta saggia e da consigliare. Mettiamola così. Ok, io direi che possiamo chiudere qui. Abbiamo un po’ detto tutto. Grazie ancora di avermi contattato e di esserti reso disponibile a raccontare e a condividere con noi quello che ti ha un po’ insegnato questa disavventura di tanti anni fa. Quindi, grazie ancora e a tutti alla prossima. Grazie, fabio ciao.







